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Lias Saoudi dei Fat White Family contro la «ostentazione woke» degli Idles: «È l’anti rock’n’roll»

Secondo il cantante, siamo vivendo «la fine dell’era delle band. È tutto un rimaneggiamento di un rimaneggiamento di un rimaneggiamento. Si vive in una sorta di fantasia anacronistica»

Foto: Louise Mason

Lias Saoudi dei Fat White Family se l’è presa (di nuovo) con gli Idles. In un’intervista rilasciata all’Independent, ha detto che «non m’interessa se un gruppo è noioso o qualcosa del genere, mi sta bene, ma ostentare la wokeness è il contrario dello spirito del rock’n’roll, che ha a che fare con l’essere dissoluto».

Saoudi se la prende con il «microverso indie» dove autenticità significa «parlare con il proprio accento su chitarre spigolose». Secondo lui, siamo vivendo «la fine dell’era delle band. È tutto un rimaneggiamento di un rimaneggiamento di un rimaneggiamento». Affinché la macchina del business funzioni, «ci deve essere il minor attrito possibile» e il risultato di questo processo «è il nulla».

Le rock band oggi sono «un anacronismo. È un mezzo espressivo che sta morendo. È stato svuotato di ogni vitalità e non ha più senso a livello puramente pratico, se si considerano gli alti e bassi economici, e i costi che si sostengono. Si vive in una sorta di fantasia anacronistica. Sono gli avanzi degli avanzi, amico, e non è bello».

Non è la prima volta che il cantante dei Fat White Family si esprime in mondo critico nei confronti degli Idles. È successo quando Saoudi si è detto d’accordo con Jason Williamson degli Sleaford Mods, che aveva accusato pubblicamente la band di Joe Talbot di essersi appropriata della “voce” della classe lavoratrice, definendo la sua musica un’accozzaglia di retorica paternalistica, prediche, slogan e cliché.

«L’ultima cosa di cui la nostra cultura sempre più puritana ha bisogno» ha detto allora Saoudi «è un mucchio di coglioni auto-castranti della classe media che ci dicono di essere gentili con gli immigrati; potresti chiamarla arte, io la chiamo pedanteria sentenziosa».

In quell’occasione aveva puntato il dito contro «tutto ciò che c’è di sbagliato nelle teorie sulla giustizia sociale importate dagli Stati Uniti», tra cui il senso di superiorità di certi progressisti e non mettere più al centro le questioni di classe. «Quando cresci economicamente oppresso in un mondo che ti offre prospettive sempre più ridotte, un mondo in cui la violenza e l’abuso sono la norma, prima o poi la disperazione di tutto ciò ha buone possibilità di trasformarsi in odio: etichettare queste persone come feccia non è progressista, è decadente. Direi che equivale a incolpare lo schiavo per le sue catene».

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