Ventimila persone, quasi tutti giovanissimi come solo a Napoli, che “sono scesi a Mergellina” paralizzando di fatto la città e tutti i centri vicini per assistere all’evento degli eventi, il concerto di Liberato sul lungomare al tramonto. C’erano ragazze con una rosa rossa in mano – come da simbologia liberatesca – e ragazzi che accendevano fumogeni azzurri per salutare dagli scogli il motoscafo che sbarcava con quasi una decina di sosia del cantante, nascosti sotto cappucci della felpa e bandane. Nessuno tra il pubblico aveva voglia di togliere la maschera alla serata, si tenevano stretti il mistero e la magia di una festa che in città non si vedeva dai tempi di Pino Daniele (a cui LIBERA’ dedica Quanno chiove, ovviamente con coro e lacrime) e del Napoli di Maradona.
Un’ora di musica perfetta, lanciata da quella sirena che è ormai marchio di fabbrica di questo progetto musicale: tra il karaoke da stadio di Nove Maggio, il clubbing da festival di Me staje appennenn’ amò e lo struggimento nu melodico in fronte al mare di Tu t’e scurdat’ ‘e me, alla fine resta la sensazione di essersi trovati in mezzo a qualcosa di unico, almeno in Italia. Che ha trovato a Napoli una terra fertile per crescere, merito del passato della città, che si è sempre districata bene tra storie d’amore complicate e dub elettronici struggenti. E Liberato riassume tutto qui, di fronte al Golfo, come se fosse una campagna elettorale romantica. Liberato sindaco del cuore (dei cuori?) di Napoli.
I Liberato sul palco salutano a pugno chiuso e riprendono la strada del mare. Dal motoscafo uno di loro – quello vero? – incita i ragazzi che stanno cantando un suo pezzo a cappella. Migliaia di telefonini battezzano ogni secondo di questa serata, una ragazza dice all’amica “sembra un film”.
Di più, sembra una serie tv all’altezza de Il Miracolo e Gomorra, e ora aspettiamo solo le prossime puntate.