Stephen Walter, uno degli spacciatori coinvolti nella morte di Mac Miller per overdose di fentanyl è stato condannato a 17 anni e 6 mesi di prigione. È successo ieri, lunedì 16 maggio: il giudice ha rifiutato la richiesta di patteggiamento perché l’uomo ha continuato a vendere pillole di ossicodone contraffatte anche dopo la morte del rapper, avvenuta a settembre 2018.
Lo scorso ottobre Walter, 49 anni, aveva accettato un accordo con i procuratori federali che prevedeva una condanna a 17 anni, ma il giudice ha deciso di non confermarlo. «La corte ha deciso di rifiutare il patteggiamento. Se vuole, può ritirare la dichiarazione di colpevolezza e andare a processo», ha detto. «Se si continua in un’attività anche dopo che questa ha ucciso qualcuno, faccio fatica a non rispettare le direttive federali».
Dopo essersi consultato col suo avvocato, Walter ha accettato la decisione, diventando il secondo spacciatore coinvolto nella tragica morte di Miller a ricevere una condanna di oltre dieci anni. L’altro, il 39enne Ryan Reavis, dovrà passare 11 anni in prigione.
Durante l’udienza, dopo che l’accusa ha letto una dichiarazione della madre del rapper, il giudice ha concesso a Walter la possibilità di parlare con la corte. Lo spacciatore si è scusato con la famiglia di Miller, poi ha detto che ha scoperto che era morto a causa sua solo dopo l’arresto.
«Le mie azioni hanno causato molto dolore, per questo provo un rimorso sincero. Io non ho mai voluto fare del male a nessuno. Non sono quel tipo di persona. Le carte dicono che ho continuato con la mia attività anche dopo la morte di Miller, ma questo non è vero», ha detto. «Io non so se ha continuato a vendere dopo essere venuto a sapere della morte, nessuno può provare cosa sapeva e quando l’ha scoperto, ma è senz’altro avvenuto dopo la scomparsa di Miller», ha risposto il giudice.
Walter ha detto che era convinto che Reavis avrebbe consegnato le pillole a un terzo spacciatore – Cameron Pettit, anche lui coinvolto nel caso – che le voleva per se stesso. «Io ho parlato con Cameron Pettit, mi ha fatto credere che sarebbe stato lui a ingerire le pillole. Non ha mai parlato di McCormick (il vero nome di Miller, ndr). Non mi ha detto che avrebbe portato le pillole a un’altra persona».
«Mi assumo tutta la responsabilità per quello che è successo, ma non mi aveva detto che erano per un’altra persona», ha continuato Walter. «Lui aveva esperienza con le pillole e pensavo fossero per lui, per uso personale. Poi le ha portate a McCormick con cocaina, Xanax e non so che altro. Io non volevo farlo, non volevo fare nient’altro oltre vendere a Pettit. Poi due giorni dopo, quando c’è stata l’overdose, non mi ha chiamato e non mi ha detto nulla, non sapevo fosse coinvolto. Non avevo idea che una persona fosse morta. Se l’avessi saputo, non avrei continuato».
Prima della sentenza – 17 anni e 6 mesi di prigione, più 5 anni di libertà vigilata – il giudice ha spiegato che la sua decisione non ha niente a che vedere con la popolarità di Miller. «Stiamo parlando di un essere umano che ha involontariamente assunto una sostanza che può ucciderti, non capisco perché ci sia gente che vende questa roba. È questo che mi disturba. Ora tutti sanno che questa sostanza uccide», ha detto.
Miller aveva 26 anni quando è morto, il 7 settembre 2018, nella sua casa di Los Angeles. Aveva assunto un cocktail di fentanyl, cocaina e alcool, come stabilito dai medici. Il rapper è stato visto vivo per l’ultima volta il 6 settembre 2018, da un suo assistente. È stato lui a trovarlo senza vita la mattina successiva.
Secondo i documenti dell’incriminazione di Walter, il 4 settembre Pettit ha accettato di portare a McCormick 10 pillole di ossicodone – le “blues” –, cocaina e Xanax. Quando ha fatto la consegna, il 5 settembre, Pettit avrebbe dato a Miller pillole contraffatte che contenevano fentanyl. Secondo le indagini, Miller è morto dopo averle sniffate.
«Quando ci ha lasciato la mia vita si è oscurata. Era più di un figlio», ha detto Karen Meyers, la madre del rapper, nella dichiarazione letta alla corte lunedì. «Avevamo un legame profondo, speciale e insostituibile. Parlavamo quasi ogni giorno di tutto: della sua vita, dei suoi piani, della sua musica e dei suoi sogni. La sua risata era contagiosa, il mio amore per lui insuperabile, così come il suo per me. Non avrebbe mai preso una pillola di fentanayl consapevolmente, mai. Voleva vivere, guardava al futuro con entusiasmo. La ferita nel mio cuore non guarirà mai».