Lucio Corsi ha scelta la Trattoria Ambrosiana di Milano per le sue battute pre-Sanremo. Non è un caso, nemmeno che sia a orario di pranzo. L’ha detto più volte (anche a noi): è il suo mondo, quello piccolo delle persone e delle storie che si aggrovigliano sopra un piatto. Sarà per l’eredità di famiglia, il ristorante tramandato di nonna in madre a Macchiascandona, nella sua Maremma. Sarà perché nella vita bisogna essere pratici e nelle canzoni sognatori, e staccarsi dalla realtà riesce difficile, a Milano.
Di fianco a lui c’è Mario Millelire, un signore anziano di barba folta con cui Corsi mangia ogni giorno, appunto a pranzo. «Le tradizioni vanno rispettate, così vi ho voluto portare qui con Mario. Quindi buonasera a tutti, anzi buongiorno, scusate, sbaglio sempre tra i due».
Un po’ ci assomiglia proprio, questo piccolo mondo antico, alle ambientazioni dei suoi brani. «Le canzoni che raccontano la realtà così com’è mi annoiano, le forme d’espressione devono andare da altre parti, ingannare, far credere di essere altro. Le canzoni servono per fuggire. Nella vita reale meglio tenere i piedi per terra».
Lo stesso spirito con cui Lucio Corsi ha affrontato la questione Sanremo. «Ho avuto una lotta interiore per anni, provarci o non provarci? A questo giro c’erano dei bei segnali. Con Carlo Verdone sono stato a un festival immaginario (nella serie Vita da Carlo, terza stagione, ndr), anche quella è stata una storia vera sotto forma di bugia, solo che non lo sapevo ancora. Poi ero circondato da vari Carlo, e poi avevo già il disco in preparazione che infatti uscirà dopo Sanremo, … Tornava tutto troppo. Verdone è un bluesman, ha quella malinconia, la musica dentro».
Nuovo album previsto per marzo (registrato a Milano e non in Maremma come avrebbe voluto), dice, mentre ad aprile sarà impegnato in un club tour che lo porterà a Bologna (il 13/04, all’Estragon), a Venaria Reale (il 15/04, al Teatro Concordia), a Firenze (il 16/04, al Teatro Cartiere Carrara), a Roma (il 18/04, all’Atlantico), a Napoli (il 23/04, alla Casa della Musica), a Padova (il 28/04, all’Hall) e a Milano (i 29/04, all’Alcatraz). «Io però in tour ci vorrei stare tutta la vita tipo Dylan, passare i giorni con gli strumenti sottobraccio e l’armonica in tasca. Stare sul palco con i ragazzi che suonano con me, che sono miei amici del liceo. Avere quel rapporto cambia tutto, non mi mancherebbe mai casa perché la casa sarebbero loro».
Del nuovo album (di cui il titolo è ancora top secret) abbiamo già potuto ascoltare i primi singoli: Nel cuore della notte e Tu sei il mattino, contenuto anche in Vita da Carlo. A Sanremo, invece, Corsi porterà Volevo essere un duro, che «non è stata scritta apposta, se scrivi una canzone per un contenitore quella poi si ribella, non la prende quella forma». Volevo essere un duro è arrivata un anno e mezzo fa, e parla del fatto che spesso sogniamo di essere qualcosa che non è troppo meglio di ciò che già siamo. «Il mondo ci vuole inscalfibili, invece siamo tutti in equilibrio precario. Dobbiamo trovare la bellezza in questo».
A proposito di visioni e versioni di sé, Lucio Corsi ha voluto fare il paleontologo, il cercatore di insetti (apprezza particolarmente le cerambici delle querce, ma anche le larve di cetonia, ha dedicato loro una canzone diciamo giovanile, Inno alla larva), il disegnatore di auto. Aveva una bella mano, dice, però ha scelto il liceo scientifico perché «si imparava di più. Invece è andata che dai professori non ho imparato nulla, tutto dai compagni. Alle superiori ero già quello diverso con i capelli lunghi, quindi ho capito come si stava con chi non ha le stesse passioni».
Poi, certo, è arrivato anche il sogno del cantante. «Quando ho visto i Blues Brothers, credo. Un bambino non può che rimanere estasiato da quel film, e i musicisti ci fanno la figura dei supereroi, dei ganzi indistruttibili». Da quello spirito la gavetta che lo porta a suonare in strada, anche a Milano. Per lui è la scuola più importante: devi fermare le persone, attrarre l’attenzione, farle rimanere. «Ti crei delle basi solide, così non vacilli. So di essere pronto per Sanremo, per l’esperienza di quel palco, per questo motivo. È un frullatore in cui è facile tagliarsi. Così è importante avere un paracadute, delle fondamenta. Sono sereno perché l’Ariston è arrivato al momento giusto durante il mio percorso».
Il duetto? «Sarà un ospite fuori gara, italiano, faremo una canzone del passato ma anche del futuro, che se ne va dove le pare nel corso delle epoche. Il sogno? Be’, Randy Newman, tra i più grandi compositori e artisti viventi. Gli è riuscita quell’impresa strana di dare voce in musica ai personaggi cattivi, per esempio i piromani, o a chi offende le persone basse (nella sua canzone più famosa Short People, ndr). Se scrivi un personaggio cattivo, si capisce che tu non sei cattivo. Se lo canti è un altro paio di maniche, c’è la tua voce».
Ecco, la questione dei testi, tra trap e tutto il resto: «Io preferisco parlare di temi semifreddi, gelati, digeribili, che al limite fanno male ai denti quando li mordi. Però sempre attuali». Con che outfit lo vedremo sul palco? «Della moda non mi frega niente, i vestiti mi interessano perché fanno parte dell’estetica che gira attorno alla musica. Mi ha scattato Mick Rock ed è stato incredibile, ho lavorato con Alessandro Michele quando stava con Gucci, incredibile. Ma perché era legato al mondo della musica. Spesso pensiamo allo stile del glam rock, ma quelli per loro erano stracci. Messi bene, però stracci. Quello che conta nella musica è l’aria, gli strumenti suonano l’aria».
L’aria ritorna anche nelle uniche competizioni che gli interessano, quelle di velocità, per esempio con le motociclette. «La velocità ha a che fare con l’aria e con il tempo. Io ho una crociata contro il tempo, non mi piace questa cosa che passa. Della gara di Sanremo non mi interessa, lo prenderò come un live».
Concerto durante cui si presenterà più volte, attraverso gli schermi a casa, la domanda: Lucio Corsi chi? «Sono contento che altre persone arriveranno a scoprirmi. Non so cosa penseranno della mia musica, bisognerà chiederlo a loro». Ma quindi rischiamo di vedere un Lucio diverso all’uscita di Sanremo, non più underground? Lui conclude così: «Non mi sono mai sentito underground. Il mio paesaggio è più bucolico».