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L’ultima intervista di Avicii

Alcuni mesi fa il DJ scomparso a soli 28 anni raccontava a Rolling Stone le difficoltà del tour, la passione per i Beatles e molto altro.

Avicii ha passato gran parte della sua giovinezza in giro per il mondo, era uno dei DJ più importanti del pianeta e faceva andare fuori di testa il pubblico di Los Angeles come quello di Ibiza. Sia con la sua EDM colossale che con i trionfi pop di hit come Wake Me Up. A quanto pare, però, non si divertiva poi così tanto. Guardate il documentario di cui è protagonista e le conseguenze di quella vita sulla superstar svedese (in realtà si chiama Tim Bergling): numerosi ricoveri – infiammazione al pancreas per il troppo alcool, appendicite e purtroppo molto altro – e, infine, il ritiro dalle scene. «Dovevo capire cosa fare della mia vita», diceva. «Cercavo il successo per avere altro successo, e basta. Non ero più felice».

Il documentario è molto intenso, soprattutto nelle scene dove soffri per la pancreatite, o quelle in cui litighi con i promoter che volevano che continuassi con i tour. Com’è stato rivedere quei momenti?
Difficile. Mi sono messo a pensare: “Cazzo, dovevi farti rispettare di più in quell’occasione. Dai, Tim!”. Perché non mi sono fermato prima?

Ti senti vicino alle storie di Brian Wilson e dei Beatles? Hanno smesso con i tour per concentrarsi sul lavoro in studio…
Certo. Ho visto il nuovo documentario sui Beatles (Eight Days a Week – The Touring Years, di Ron Howard) e in alcuni punti ho pensato che mi stava succedendo la stessa cosa. Non mi sono fermato prima perché mi sembrava strano – “Ma perché cazzo non posso godermela come fanno gli altri DJ?” -, poi ho capito che la maggior parte delle persone che sembrano felici sul palco, in realtà non lo sono.

È finita l’era dell’EDM?
La saturazione è iniziata quattro o sei anni fa, quando è diventata tutta una questione di soldi. Da quel punto in poi ho capito di non volermi più associare al genere. Ora che ho più tempo per stare in studio voglio imparare più cose possibili su più generi possibili. Questo è quello che amo, fare una session con Nile Rodgers, per fare un esempio, e scoprire qualcosa sulla musica. È inestimabile.

In I Took a Pill in Ibiza Mike Posner racconta che si drogava per sembrare più fico ai tuoi occhi. Poi, però, si è ritrovato solo e apatico. Cosa ne pensi di quel pezzo?
Mike è un amico, quindi mi sono sentito onorato. E sono d’accordo con lui – le feste sono bellissime, ma è facile diventare dipendenti da posti come Ibiza. Ti senti solo e soffri d’ansia. È tossico.

Ti diverti ancora ai concerti dei colleghi?
No, non ancora. Sono traumatizzato. Ma sono sicuro che presto non sarà più così. Adesso posso ascoltare di nuovo la musica, ho ritrovato un poco di gioia.

Hai lavorato a Rebel Heart di Madonna. Siete rimasti in contatto?
No, non proprio. Mi piacerebbe collaborare ancora con lei, ma credo di averla delusa perché non le ho dedicato abbastanza tempo. Ma ero davvero impegnato: sono tantissime le cose che ho rovinato per i miei impegni, perché non avevo energia per farle nel modo giusto. Pensi sempre di riuscire a farla franca, ma poi ne paghi le conseguenze.

Sei felice per la possibile reunion degli Abba?
Wow! Non lo sapevo. I giovani non capiscono la grandezza degli Abba. La verità è che non ci sono autori del livello di Ulvaeus e Benny Andersson. Li ammiro molto.

C’è una serie TV in cui Diplo è interpretato da James Van Der Beek. Chi vorresti che interpretasse Avicii?
Jamie Foxx, ovviamente (ride). Cazzo, non lo so!

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