«Se sono arrivata sin qui è grazie a voi che non mi avete abbandonata». Ha un sorriso dolce, Marianne Faithfull, mentre ringrazia il pubblico accorso all’Auditorium di Milano per vederla dal vivo. La sala non è piena, in platea i capelli grigi sono ovviamente tanti e la cantante inglese, 67 anni, fa il suo ingresso camminando molto lentamente, il bastone in una mano, gli occhiali da vista nell’altra. Li userà per leggere i testi dei brani in scaletta, molti dei quali tratti dall’ultimo album Give My Love to London. Inizialmente arrancando un pochino e cercando spesso con lo sguardo il chitarrista Rob McVey per non sbagliare gli attacchi di strofe e ritornelli, poi sempre più sicura.
Accompagnata anche da Jonny Bridgwood al basso, Ed Harcourt alle tastiere e Rob Ellis alla batteria, «la musa dei Rolling Stones» non riesce a stare in piedi a lungo – lo spiega lei stessa al pubblico – perché reduce da un incidente (una frattura multipla dell’osso sacro provocata da una caduta) che l’ha costretta a una lunga riabilitazione non ancora terminata. Così si siede, si rialza, si risiede e così via, più volte durante la serata, aiutata dai due assistenti che ci tiene a ringraziare dicendo «si prendono cura di me».
Durante la prima parte del concerto, mentre interpreta Give My Love to London, Falling Back e la celebre Broken English, pensiamo che forse la fatica è troppa, ma dopo qualche brano eccola, miss Faithfull, dare il meglio in Sister Morphine e Late Victorian Holocaust, due canzoni – la prima capolavoro del 1971 firmato con Mick Jagger e Keith Richards; la seconda, toccante, scritta con l’amico Nick Cave – che la cantante inserisce nel «junkies’ corner». Lo chiama così, «l’angolo dei tossici», ironizzando sul suo passato di droghe e trasgressione.
Il pubblico ride, tra una canzone e l’altra la Faithfull si concede qualche battuta ed è bello e divertente sentirla parlare. Spiega che l’unica frase in italiano che conosce è «passami la marmellata».
Accende una sigaretta elettronica e confida «non è come una sigaretta vera, ma emette fumo e a me è sempre piaciuto avere una nube di fumo davanti agli occhi». Descrive la splendida Marathon Kiss come «una canzone d’amore piena di droga, sesso e di tutte quelle cose buone». Definisce Mother Wolf «un’invettiva contro quello che l’umanità ha fatto al pianeta: disgustoso».
Tra gli altri titoli in scaletta, The Price of Love degli Everly Brothers, Witches’ Song («è perfetta per la settimana di Halloween, ormai lo festeggiano tutti», è il commento), Sparrows Will Sing («l’ha composta per me Roger Waters, io non ho speranza, ma questa canzone sì») e, sul finale, l’emozionante Who Will Take My Dreams Away, da una collaborazione con Angelo Badalamenti. «Festeggio 50 anni di carriera, nessuno è più sorpreso di me che io sia ancora qua», afferma la Faithfull. E alla fine sono in molti ad alzarsi in piedi per rendere omaggio a questa signora del rock.
Leggi la nostra recensione di “Give my love to London” di Marianne Faithfull