È una regola esatta e universale: quando l’artista sale sul palco per attaccare il concerto, vieni investito alle spalle da uno tsunami di corpi umani che si fionda il più vicino possibile al palco. Se sei a un live di Justin Bieber (provato personalmente) questa fiumana di corpi emette grida a frequenze ultrasoniche, se sei invece a un live di Marilyn Manson, vieni inondato da un litro di birra sul braccio perché una ragazza dietro di te, capelli rasati blu e tatuaggi, sta tentando senza successo di portare sé stessa e tre medie bionde ghiacciate il più possibile avanti.
Voto comunque per il pubblico di Manson, che in ogni caso non annoia e sicuramente non dà noia mai—alla fine, una doccia di birra ghiacciata nel caldo torrido dell’Ippodromo di Milano a fine giugno non è neanche poi così male come idea. Ci sono molti ragazzini e la cosa fa piacere, ma fa ancora più piacere riconoscere gente dall’ultimo live all’Alcatraz nel 2015. Come il marcantonio palestrato, look militaresco, capelli lunghi tinti di nero e lente a contatto azzurra sull’occhio sinistro come a impersonare il MM dei primi Duemila, quello di The Fight Song, per capirci.
Ma per quanto Manson non sia più il fuscello di una volta, la presenza scenica è come sempre mostruosa. Si presenta sul palco in trench nero, attacca con Irresponsible Hate Anthem e dopo appena due strofe è già per terra a rotolarsi e crogiolarsi nei suoi scream. È in forma, anche se il suono non gli rende giustizia, tutto spostato sulla batteria sacrificando un po’ la pacca della chitarra di Tyler Bates. Tanto Antichrist Superstar in scaletta, e poi una giusto mezzo aristotelico fra Heaven Upside Down, Mechanical Animals e via così. Il Reverendo sputa per mostrare affetto, lancia il microfono per far sapere ai suoi sudditi che gli applausi e le urla sono cosa gradita. Lancia via un microfono wireless SM58 alla fine di ogni pezzo, quindi mettendo caso che se ne rompa uno ogni due, vuol dire che fa fuori 500 euro di microfoni ogni live.
Verso metà, quando viene il momento di Kill4Me, Manson fa salire sul palco una ragazza, poi fa cenno anche alle amiche di scavalcare. Approfitto della scenetta per andare a prendere una birra. Tempo di tornare dopo 3 minuti esatti (concerto bellissimo anche perché non c’erano code) e le suddette ragazze sono già con le tette di fuori mentre cantano in coro “Would you kill, kill, kill for me” in semicerchio attorno a un direttore del coro particolarmente divertito. Puro entertainment, che prosegue con The Dope Show e Sweet Dreams con un po’ di pause fra una e l’altra che spezzano forse un po’ il ritmo del concerto ma vengono ripagate con uno dei teatri itineranti più piacevoli che il rock di oggi abbia da dare.