Esiste un modo per raccontare il presente. Fare musica che rappresenti in pieno il proprio tempo raccogliendone le sfumature, le inquietudini, l’oscurità e la luce. I Massive Attack lo avevano già trovato nel 1991.
È questo, in fondo, il significato di ogni concerto della band di Robert Del Naja e Daddy G, ieri al Fabrique di Milano per la prima di tre date in Italia (il 13 ancora al Fabrique e il 14 al Gran Teatro Geox di Padova).
i Massive Attack hanno la chiave per fermare il flusso del tempo
Non importa quanto tempo sia passato dal loro ultimo album o dall’ultimo tour, chi si sia fatto avanti sulla scena dopo di loro e quali siano state le evoluzioni della musica elettronica degli ultimi anni: i Massive Attack hanno la chiave per fermare il flusso del tempo, entrare in profondità nelle cose e riflettere sulla modernità rendendo palesi e inequivocabili le sue perverse contraddizioni ma anche le sue infinite possibilità. E lo fanno con un progetto di comunicazione multimediale che passa dalla musica e finisce sul muro di schermi LED creato dall’artista Icarus Wilson-Wright e dal collettivo UVA (United Visual Artist) e basato su un software che pesca nel flusso globale di informazioni sparando dati, numeri e notizie tradotte in ogni lingua, dal Cirillico al Cinese.
La performance live diventa un’esperienza di apprendimento e condivisione
La performance live diventa un’esperienza di apprendimento e condivisione, immagine e suono si uniscono per costruire un messaggio che galleggia sulle onde elettroniche e le linee di basso traspirando nel cervello del pubblico e allo stesso tempo colpisce gli occhi in modo feroce con grafiche minimali e raffiche di informazioni. Puro edutainment contemporaneo, paranoico certo ma anche molto coinvolgente.
Learn. Protect. Connect si legge sullo schermo. Innovation. Compassion. Parole, slogan scritti nel linguaggio della comunicazione moderna, efficaci e diretti, provocatori o divertenti, messi insieme in modo apparentemente caotico con un solo obiettivo: For the Greatness of Human Progress.
La cosa interessante è che lo spettacolo dei Massive Attack è sempre lo stesso da anni, ma non smette di essere attuale. È dal 2003 che Wilson-Wright e i Massive hanno costruito questo strumento, sono passati cinque tour mondiali ma la sua rilevanza è rimasta la stessa perché in fondo basta pescare da quello che ci circonda, affondare le mani a caso nel flusso di informazioni e tirare fuori il ritratto più vero e spietato della società in cui viviamo.
Si comincia con i dati sui prezzi e la composizione dei farmaci più consumati al mondo, si continua con la sovrapposizione delle bandiere delle nazioni e i marchi delle multinazionali (dalle banche alle compagnie aeree, tutti virati in rosso) e si finisce con i dati della guerra in Siria e l’emergenza dei profughi: un essere umano ogni 122 è un rifugiato. In mezzo ci sono i riferimenti costruiti dal software di UVA su misura per ogni paese toccato dal tour e qui la cosa si fa ancora più inquietante perché i nostri sono: Ilaria Cucchi denunciata per aver messo su Facebook le foto dei poliziotti colpevoli della morte di suo fratello, il Family Day, il vigile che timbra in mutande e notizie come Simona Ventura ringiovanisce ancora.
Intanto i Massive Attack suonano in modo impeccabile, con due batterie e un basso gigantesco, la voce sottile e fredda di Robert Del Naja e il flow morbido di Daddy G, facendo uscire uno ad uno sul palco ospiti che meriterebbero ognuno un concerto da soli: Horace Andy per Angel, Martina Topley Bird per Paradise Circus, Deborah Miller per Safe from Harm. Dal visionario Blue Lines del 1991 fino ai quattro pezzi del nuovo Ep Ritual Spirit uscito nel 2016 che segna il ritorno della collaborazione con Tricky (Take it There) oltre a quella con Roots Manuva (Dead Editors) e con il trio hip hop multiculturale di Edimburgo Young Fathers, i Massive Attack sono la band classica dell’era digitale, sono i migliori nel riempire le vibrazioni elettroniche di poesia e hanno in scaletta canzoni che in questa era valgono come quelle di band come i Rolling Stones nel rock: Karmacoma, Teardrop, Unfinished Sympathy.
Ci lasciano anticipando il futuro con il nuovo pezzo Voodoo in My Blood con gli Young Fathers sul palco, le foto dei rifugiati scattate dal fotografo Giles Duley che scorrono sullo schermo insieme alle trascrizioni delle comunicazioni tra i piloti dei droni e l’elenco delle distruzioni di monumenti e istituzioni culturali dall’antichità ad oggi e un appello diretto a sostenere l’agenzia ONU per i rifugiati (basta cliccare qui).
Ci lasciano anche con una chiave per attraversare la paranoia contemporanea cercando qualcosa di buono, e con il pensiero che quello di cui questo mondo ha più bisogno è un modo per uscire dall’oscurità. Possibilmente ballando, o al massimo ondeggiando la testa.