Dopo 13 anni di minuzioso artigianato musicale alle sue Officine Meccaniche – gli studi di registrazione che ha fondato nel 1998, un posto incredibilmente magico in cui hanno lavorato dagli Afterhours ai Muse – Mauro Pagani torna a scrivere e cantare canzoni per sé, un po’ per sfottere Donald Trump e un po’ dimostrare che è possibile scrivere canzoni divertenti anche su tematiche attuali. Ma soprattutto perché, sotto sotto, cantare gli piace davvero tanto. Lo abbiamo raggiunto negli studi milanesi per farci raccontare di Trump e del nuovo disco in arrivo.
«Non voglio passare passare né per il messia, né per il saputello né per il risvegliatore di coscienze però rivendico il diritto di tenere il cervello acceso. Nessuno più parla della realtà per non essere considerato “pesantone” io lo trovo un brutto segno del nostro tempo. Possibile che di tutto il resto non gliene freghi un cazzo a nessuno? Anche se la musica leggera è di per sé una definizione squalificante, non è vero che non può occuparsi dei sogni e delle aspettative della gente».
«Qualche giorno prima dell’uscita», il 15 luglio scorso in esclusiva su Repubblica, poi in tutte le radio, «è successo un fatto buffo in studio: avevo qui dei musicisti americani abbiamo deciso di fare leggere a uno di loro il testo di The Big Man per fargli fare un banale controllo sull’ortografia. Uno di questi ha preso il testo e leggendo la prima parte ha detto “un testo bellissimo, ci sono un sacco di cose che andrebbero dette! Bravi, fate bene”, senza sapere che fossero le parole di Trump. Ovviamente non gliel’ho mai detto né ho intenzione di farlo, ma questo è preoccupante. Perché basta voltare il foglio, proseguire con il testo, per rendersi conto che questo è l’inizio dell’apocalisse». Pagani non ci dirà mai con chi ha avuto questa conversazione, per poi aggiungere «lui è un bravo diavolo e poi ha già detto che non voterà perché secondo lui sono tutti dei corrotti, ma è un’esagerazione».
Nel pezzo post funk Mauro Pagani – che si occupa anche di chitarra, tastiere e programmazione – insieme alla voce femminile di Z-Star ai cori, Faso degli Elio e le Storie Tese al basso e Daniele Moretto alla tromba – torna a cantare finalmente in inglese per un motivo preciso: «me le scrivo, me le registro, me le canto, me le mixo, me le recensisco e me stronco anche» (N.d.R. ride). «Tutto questo perché cantare mi piace un casino. Nelle mie prime band ho sempre cantato, poi quando abbiamo messo insieme la PFM non ero abituato a cantare in italiano come richiesto, lo facevo in inglese, come tutti i ragazzi che suonavano nei gruppi rock del tempo. Quando si è trattato di passare all’italiano ho provato anche io ma non avevo idea di come fare, quindi non mi hanno mai più fatto cantare nella PFM. E questa cosa non l’ho mai digerita, ma per questioni di ego».
«Ma nella mia testa non ho mai smesso, è che avevo altro da fare». In questi anni ho continuato a scrivere e molto, quindi ho potuto fare una grossa selezione. Pubblicherò presto una sorta di “best of” degli ultimi 13 anni senza rifilare alla gente i pezzi loffi, praticamente un “greatest hits di inediti” selezionati anche con l’aiuto di amici e collaboratori storici» il meglio degli ultimi 13 anni di attività insomma. «Succede a me come succede a tanti che scrivendo un pezzo dici “ah questo è un bel pezzo”, poi la settimana dopo riascoltandolo ti convince meno e allora lo lasci lì. Io ho deciso di lasciare in sospeso pezzi anche per mesi, però mi fido sempre della prima impressione quando l’ascolto. Ci sono cose che sono frutto di vacue infatuazioni e cose che sotto hanno un fondamento di verità solo che quelle parti lì sono un po’ sepolte dal mestiere, anche quando non lo si vuole. Dopo aver fatto il produttore per cinquant’anni un pezzo, anche se è brutto, lo finisci in fretta. E questa cosa a volte la facciamo anche sul nostro lavoro, ma bisogna difendersi da questa cosa dell’autoconsolazione perché il tempo passa e si ha sempre paura di inaridirsi». Dice di sé Mauro Pagani definendosi un ragazzo di settant’anni. Un “settantinager” che però, con gli anni, fa fatica a tenere a bada l’autocritica, la paura della perdita della spontaneità. Senza perdere mai la voglia di rimanere acceso e di mettersi in gioco.