Fra i tanti musicisti, anche italiani, che si sono inventati un alter ego, Max Gazzé è uno dei più improbabili, come dimostra anche il semiserio tentativo di raccontare in conferenza stampa il modo in cui gli è apparso Maximilian, «Uomo di un presente diverso, entità metafisica che presto si impossesserà di me». Ma per il momento Gazzé non è ancora stato Ziggystardustizzato, tant’è che il progetto sperimentale che doveva essere attribuito a Maximilian, alla fine è diventato il suo nuovo album. All’ultracorpo Maximilian è rimasto il titolo del disco. Che in ogni caso, tra le atmosfere più consone all’ampio territorio in cui siamo abituati a veder muovere Gazzé (come il singolo La vita com’è), annovera qualche passo in direzioni diverse, tra passato e futuro.
«Dopo la fine del tour con Niccolò Fabi e Daniele Silvestri pensavo di prendermi un sabbatico. Mi sono messo a giocare con sintetizzatori e software, pensando eventualmente di fare un album non necessariamente di canzoni. Poi di colpo le canzoni hanno iniziato a venire, e ho capito che non dovevo farle raffreddare».
«Non è un concept album», spiega Gazzé; «casomai è un quadro con diversi colori. Se devo vederci un filo conduttore, è quello dei rapporti. Da Mille volte ancora, che descrive l’amore incondizionato ma perennemente in costruzione di un padre per un figlio, a Teresa, che spiega come un uomo in un rapporto di coppia possa vagheggiare di tornare dai genitori. In generale tutti i rapporti sembrano precari oggi, forse perché in un tempo con tanti stimoli è più facile separarsi che stare insieme».
Non ho toccato quasi nulla di quello che ha scritto mio fratello Francesco
Un rapporto che non accenna a incrinarsi è invece quello col fratello Francesco, autore della maggior parte dei testi. «Non ho toccato quasi nulla di quello che ha scritto perché è sempre più forte nella metrica, casomai se capita posso cambiare io qualcosa nella musica. In questi anni abbiamo sempre rivolto molta attenzione alla scelta delle parole più musicali e al ritmo interno, mentre oggi in giro c’è la sagra della rima baciata, con testi che sono al limite del cantabile. Invece basta sentire Guccini e De André per capire il lavoro che facevano su assonanze e rime interne. Il testo di una canzone per me è già musica».
Quanto al sodalizio con Fabi e Silvestri, «Non so se lo ripeteremo, io spero di sì, ma il progetto era stato pensato con una scadenza. Penso che l’esperienza con loro mi abbia influenzato in qualche modo, anche se onestamente non saprei dire in che modo. Di fatto, il passaggio dalla dimensione del trio al ritorno al lavoro solista è stato talmente rapido che non ho avuto modo di capirlo».
Come sempre, in una conferenza stampa si cerca di ottenere qualche risposta sull’attualità e la politica. Ma lui si tira indietro. «Non ho titolo per parlare di Roma, ora non ci vivo, ho un sindaco diverso… Spesso lo incontro al bar. Non sono indifferente, ma da anni cerco una dimensione di distacco generale. Non guardo più i telegiornali. C’è un pezzo sul disco, si chiama In breve, parla di un suicidio descritto in un trafiletto sul giornale. Si riferisce a quello che penso sull’informazione e anche su di noi come opinione pubblica, penso che siamo diventati sia dipendenti che assuefatti dal dramma altrui. Nutro una sorta di disinteresse e disillusione nei confronti di cronaca e politica, anche se non mi considero disinformato, so quello che succede».
In ogni caso il suo distacco dalla realtà in favore del poltergeist Maximilian è rimandato. «Prima o poi è un progetto che vedrà la luce. Già nell’ultimo brano del disco, intitolato Verso un altro immenso cielo, Maximilian comincia a uscire, viaggiando oltre il tempo e lo spazio». Poi però ecco Gazzé tornare sulla Terra. «Tra tutti i pezzi del disco, a causa della strumentazione sinfonica, è quello che mi è costato di più».