Ieri sera, il 60 Years Of Music Tour di Ennio Morricone si è fermato a Parma, per il Cittadella Music Festival. 60 anni di musica, 90 del Maestro, 2 ore per riassumere il tutto. Mica facile, già solo per il fatto che 60 anni di musica, specialmente se parliamo del secolo più accelerato nella storia dell’uomo, sono un botto. In 60 anni, dal 1958 al 2018, la musica ha coperto uno spettro così vasto di stili, linguaggi, approcci, pubblico come neanche negli ultimi 400 anni, roba che solitamente i corsi universitari in storia della musica moderna si fermano proprio lì, proprio all’inizio degli anni ’60, senza addentrarsi nella giungla contemporanea di generi e sottoculture che arriverà a braccetto col boom economico post Guerra Mondiale.
Le sperimentazioni paleo-elettroniche della musica concreta di Stockhausen, Schaeffer, Luciano Berio e Bruno Maderna, la Beat Generation, la musica popolare, il jazz modale, Elvis, la musica leggera italiana, la psichedelia, il punk, l’hip hop, il funk, il post-punk, i Pink Floyd, i Kraftwerk, il synth-pop, la italo disco, la rave culture, le boy band, i Daft Punk, il rap, la trap, l’imminente morte della trap. In tutto questo tempo, la linea temporale di Ennio Morricone ha percorso una linea parallela a quella della musica contemporanea, ma lo ha fatto stando su un binario a levitazione magnetica. Attratto e respinto allo stesso tempo dalla forza degli eventi attorno a lui, il Maestro ha scritto (e scrive) i suoi componimenti orchestrali (molte colonne sonore ma non solo) senza mai perdere d’occhio l’epoca in cui vive, ma evitando anche di farsi fregare dalle tendenze.
Il tema de Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo quindi non è tutto ritmo cavalcante, coro e voci, ma c’è anche quella chitarrina elettrica molto beat che la rendeva perfettamente attuale nel’66, oppure Città Violenta e il funk quasi psichedelico che negli anni Settanta era l’unico ragionamento sensato per un poliziesco (oggi i Calibro 35 con queste chicche ci riempiono le sale da concerto).
Ma se John Williams—insieme al Maestro è l’altro compositore di soundtrack più stimato al mondo—è gli ottoni, Morricone è gli archi. Ed è per questo che ieri sera, dopo essere salito sul palco fra gli applausi scroscianti di oltre 7mila persone e aver accennato un timido ma solenne inchino, il Maestro ha attaccato con il tripudio di violini, viole, violoncelli e contrabbassi di 1900′ Theme, il tema principale de La Leggenda del Pianista sull’Oceano. Giusto per rassicurare tutti subito che, sì, è proprio un concerto di Morricone. Brividi e occhioni lucidi fin da subito.
La scaletta è suddivisa in macro categorie che comprendono Fogli Sparsi, quindi musiche di film che vanno da Baaria a Bugsy, i film di Sergio Leone, quindi soprattutto Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo e C’era una Volta il West ma anche opere meno blasonate come Nostromo, miniserie di tre puntate con protagonisti Claudia Cardinale, Claudio Amendola, Colin Firth. Per quest’ultima il Maestro chiama sul palco Susanna Rigacci, soprano incredibile che finisce per interpretare anche i vocalizzi impossibili di The Ecstasy Of Gold.
Il Maestro non dirige più da in piedi, non lo fa da anni ormai. Ma il suo movimento di mani e bacchetta è così fluido e preciso, quasi ipnotico anche per il pubblico, che la sedia risulta un elemento del tutto ininfluente. Prima dell’ultima parte dedicata al Cinema Impegnato, quindi da Sacco e Vanzetti a Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Morricone si è concesso una pausa di una decina di minuti, forse anche per lasciare alle tribune il tempo di processare lo tsunami di sensazioni e pelle d’oca.
«Il primo giorno mi chiamò il direttore del centro di Via Teulada, il maestro Pizzini» ha ricordato Morricone in un’intervista a Gianni Minà a proposito di quel primissimo incarico in RAI nel 1958, finito dopo appena 24 ore dall’assunzione.«Lui, che già mi conosceva per il lavoro con le orchestre della radio, mi chiamò elogiandomi per il colore che io regalavo agli arrangiamenti, ma ricordandomi, subito dopo, che io, ora, ero un impiegato di seconda categoria e che le mie composizioni, da camera o sinfoniche, non sarebbero mai state trasmesse dall’azienda perché c’era un regolamento che lo vietava ai dipendenti.»
Questa cosa a Morricone non andava giù, perché gli avrebbe del tutto precluso una carriera da compositore. Era così indignato che, dopo una telefonata per cercare spiegazioni, il Maestro prese il telefono, lo scaraventò contro il muro e se ne andò dalla RAI. Quel giorno Ennio Morricone fece la sua scelta e ieri sera, fra la brezza estiva del parco della Cittadella e gli applausi del bis, gliene siamo stati tutti tacitamente grati.