Anche se viene presentato come ponte tra il libro omonimo e l’album Canzoni della Cupa, in uscita a marzo, il film/documentario/racconto Nel Paese Dei Coppoloni è un lavoro molto ambizioso, che solo Vinicio Capossela poteva prendere su di sé (al cinema il 19 e il 20 gennaio). Perché in quest’opera di affabulazione che ruota attorno a Calitri, in Alta Irpinia, travolto dalla modernità, lui ci sguazza, illuminando ogni storia e ogni luogo con la prospettiva del mito, tra canzoni (nuove e vecchie), apologhi sul tempo e sul sacro, fantasmi di trebbiatrici e di ferrovie, ritratti di impagabili abitanti del paese dove abitava la sua famiglia.
Alla presentazione, in un cinema di Milano, il regista Stefano Obino ha spiegato: “Il copione per quanto mi riguarda era Vinicio, era seguirlo e lasciare che lui entrasse in queste dimensioni e ce la raccontasse”. Capossela per definire l’idea centrale ha spiegato: “Sono nato in Germania, da piccolo me ne vantavo. Così, userò una parola tedesca: Heimat. Che qualcuno traduce con Patria, ma quello è Vatterland, termine maschile, forte, poi degenerato in mali peggiori. Invece Heimat è femminile, materno, esprime un sentimento, che è quello di una casa dalla quale si è separati. Tutto questo viaggio che ho fatto da viandante è verso un mondo magico e perduto, perché io non ho vissuto qui. Mettere insieme queste storie ha richiesto molto tempo, più di dieci anni. Ma non sono ricordi, non è un’operazione sulla memoria, la formula del ricordo è riduttiva: per me, come che per chi guarda, quelle che si vedono sono cose che non ricordiamo, perché non le abbiamo vissute. Eppure le riconosciamo”.
Nel film, tra momenti laconici e misteri dionisiaci, lupi irpini e barbieri istrioni, incredibili rituali nuziali e case terremotate, frammenti di video d’epoca e testimonianze dello Sponz Festival ivi organizzato da Capossela, appare quella che il cantautore definisce “Un’Italia che è stata svuotata, e il cui vuoto l’attualità cerca di riempire in modo violento. La contemporaneità arriva sotto forma di centrali eoliche e discariche”. A prima vista sembrerebbe un moto di insofferenza verso la modernità, specie quando il viandante scuote la testa e ripete “Non ci si sposa più, non si miete più”, ovvero è finita l’era della ritualità condivisa. Ma Capossela sostiene che non è questo il punto: il punto è il mito, è “una dimensione altra che ci accompagna continuamente e non è separabile dalle nostre vite. Io più che raccontare questa terra tento di trasportarla in una dimensione un po’ diversa, e dare una chiave allo spettatore per capire chi siamo, a chi apparteniamo, cosa andiamo cercando”.
Il film sarà proiettato nei cinema il 19 e 20 gennaio. Per quanto riguarda invece l’album, a margine del film è stato presentato un video di 12 minuti che illustra un nuovo brano, Il pumminale: “è una parola che significa lupo mannaro, una storia di seduzione e demoni per la quale ho contattato Lech Kowalski, regista polacco che ha documentato la scena punk dai Sex Pistols ai Ramones a Johnny Thunders. Non è stato semplice, ma è riuscito a venire in paese – appena arrivato, subito ha detto: ‘Qui recupero le mie origini polacche'”.