Vent’anni di carriera che fanno pensare e ci mettono alle strette, quelli di Niccolò Fabi. Vi ricordate il Festival di Sanremo della sua Capelli, o quello in cui, con la prima cotta sul cuore, vi siete commossi con la bellissima e ancora oggi sorprendente Lasciarsi un giorno a Roma?
Il tempo è corso via e il 26 novembre, in occasione dell’uscita della raccolta Diventi Inventi, Niccolò Fabi festeggerà il suo ventennale di dischi, live e vita artistica con una grande festa al PalaLottomatica di Roma, per lasciare spazio a nuove avventure e abbandonare, almeno formalmente, per un poco, la musica. «L’idea di fare questo concerto», ci ha raccontato, «è nata per la volontà di organizzare una festa, con le persone che negli anni mi hanno accompagnato. Non sono i palazzetti, solitamente, i luoghi in cui la mia musica dà il meglio di sè, perché ho un modo di raccontare e dialogare con le persone che richiedono spazi più intimi, ma la priorità era trovare un posto in cui potessero venire tutti: l’aspetto musicale sarà secondario, rispetto al fatto di essere insieme».
L’obiettivo è dunque festeggiare una lunga storia di canzoni, che col tempo hanno assunto sempre più i toni di un impegno artistico e umano profondo. «Essere impegnati non è un fatto di tematiche o argomenti delle canzoni, credo anzi che l’intimità guidi l’impegno. Ho sempre voluto partire da meccanismi che riguardano l’interiorità e l’emotività: ho un rigore quasi sacerdotale rispetto a un certo tipo di scelte, perché sono le decisioni professionali a definire l’impegno. Io ho fatto scelte non ideologiche, ma sentimentali, verso ciò che mi faceva stare bene: stare lontano da certi meccanismi che mi facevano soffrire. Essere adulti è escludere delle possibilità che non fanno per te, ed è meraviglioso».
Diventi Inventi raccoglie alcuni brani degli ultimi lavori, compreso il Premio Tenco 2016 Una somma di piccole cose, e versioni riarrangiate delle prime canzoni dell’artista. «Ho rimesso mano ai miei primi brani, perché proporre gli arrangiamenti di vent’anni fa accanto a quelli delle canzoni più recenti avrebbe reso questo disco un’operazione puramente intellettuale, inascoltabile. Mi piacciono gli album che conducono l’ascoltatore dentro a un mood preciso, io di solito preferisco quelli malinconici. Negli ultimi tempi sono impazzito per Sufjan Stevens, per intenderci: un artista che, innegabilmente, ha definito molto il mio modo di lavorare, e che sento di dover ringraziare per avermi aperto gli occhi su nuove possibilità di raccontarsi».