Dal 26 agosto con Tv Sorrisi e Canzoni, in collaborazione di Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, arriva in edicola l’intera opera degli U2 all’interno di un cofanetto che comprende tutti gli album in studio, un cd live e 4 dvd live, in edizione digipack. Oggi esce in edicola il dodicesimo album in studio della band di Bono, No Line on the Horizon, e questa è la recensione apparsa su Rolling Stone US nel 2009.
“Sono nato per cantare per te/ Non avevo altra scelta che sollevarti”, dichiara subito Bono in quest’album, in una canzone intitolata Magnificent. Lo fa utilizzando un registro stranamente basso, un silenzio caldo appena sopra le scintille della chitarra di The Edge e il tappeto metallico del bassista Adam Clayton e del batterista Larry Mullen Jr. La voce di Bono s’innalza subito in volo con urla da rodeo a preannunciare il ritornello che si conclude con lui che canta solamente “magnificent”, ripetendolo con gusto e scandendo bene le sillabe.
Non lo fa in maniera auto-celebrativa, ma pieno di rispetto e meraviglia, come se arrivato alla mezza età, e al dodicesimo album in studio della band, lui non riesca ancora a credere al dono – e alla fortuna – che ha ricevuto. Bono sa di essere nato fornito di un’ottima arma per fare la giusta tipologia di casino: il bagliore pulito come la scia di un missile della sua voce. “Era un giorno noioso/ Svegliai il mondo urlando”, si vanta in Out of Control, canzone scritta da Bono il giorno del suo diciottesimo compleanno e pubblicata nell’Ep di debutto della band irlandese.
Continua a cantare del cantare in tutto No Line on the Horizon, primo album degli U2 in cinque anni e, grazie alle sperimentazioni sulle strutture e a una presa melodica efficace, il loro migliore disco da Achtung Baby del 1991. “Grida di gioia se hai avuto la chance”, ordina Bono con un ritmo da SMS e con le urla di un sergente durante l’addestramento in Unknown Caller. Il cantante dà il buon esempio nel pop ham-with-wry di I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight –”Ascoltami/ Griderò/ Griderò nelle tenebre” – poi esige il suo pezzo di frastuono nella baldoria glam-fuzz di Get on Your Boots: “Lasciami nel suono…Incontrami nel suono!”. Dio, colpa, amore, peccato, terrorismo – Bono qui si destreggia su tutto, con le solite crepe causate dalla sua arroganza. (“Alzati davanti alla rock star”, ammonisce in Stand Up Comedy, “Stai attento ai piccoli uomini con grandi idee”).
Bono continua anche a ritornare alla pura potenza e al piacere di una nota tenuta lunga e alla salvezza che si può provare nell’essere ascoltato. “Sto correndo fuori strada come se avessi perso l’elettricità” farfuglia, con una voce che ricorda il modo di cantare acido e nasale di Dylan nel ’66, durante lo sferragliamento hard-rock di Breathe , “Mentre la band nella mia testa suona uno striptease”.
È una cosa strana cantare su un disco che il più delle volte si mostra in gesti calmi, a un ritmo misurato. L’eccezione più importante è la palese frivolezza di Get on Your Boots, che arriva proprio nel mezzo, come se la band avesse bisogno di un fine primo tempo all’insegna della stupidità. La maggior parte dei più grandi – e più venduti – album degli U2 sono stati un successo grazie alla loro aggressività: l’entrata drammatica di Boy del 1980, la portata spirituale di The Joshua Tree del 1987, il turbinio electro-Weimar di Achtung Baby e il ritorno alle basi di How to Dismantle an Atomic Bomb nel 2004. Prodotto dal trio ormai consolidato formato da Brian Eno, Daniel Lanois e Steve Lillywhite, No Line on the Horizon sembra più un rischioso disco di transizione – come l’incantesimo gotico di The Unforgettable Fire o il jet lag techno-rock di Zooropa del 1993 – ma con una costante persuasione nei riff di chitarra, nei ritmi e nelle linee di voce.
In No Line on the Horizon, c’è la combinazione di droni simili a organi garage, massicce distorsioni di chitarra e la batteria da piazza d’armi di Mullen così tagliente e dura che è difficile capire quando sia lui a suonare o se sia un loop di batteria elettronica – ed è inteso come un complimento. The Edge si prende uno dei suoi rari assolo di chitarra lunghi alla fine di Unknown Caller, un’onesta pausa poetica dalla lama sciupata e dentellata. White as Snow possiede una calma alpina – chitarra, tastiera, Bono e le armonie di voce, come fosse The Crystal Ship dei Doors incrociata a un canto della regione degli Appalachi. Cedars of Lebanon conclude l’album più di quanto riuscisse a fare The Wanderer in Zooropa, in un trionfo del minimo indispensabile (questa volta è Bono girare in tondo, fra i rottami, al posto di Johnny Cash, voce di The Wanderer) con un chitarra cristallina e un elettronica che ricorda una canzone d’amore scritta Jimi Hendrix se avesse vissuto nell’era del digitale.
Fez — Being Born è la canzone meno lineare di quest’album (e non è un risultato da poco), un giro in autostrada su flashback punteggiati dagli strilli senza parole di Bono e dagli acuti in discesa della chitarra di The Edge. Gli ultimi versi dicono tutto sulle priorità del songwriting degli U2: “Prima la testa, poi un piede/ poi il cuore prepara le vele”. Ironia della sorte: il cantante della band è uno dei frontman più insicuri della scena mondiale. Bono sa esattamente quello che la maggior parte di voi pensa del suo attivismo sociale e della sua fiammeggiante diplomazia da freelance. Ma il rovescio della medaglia di quella spavalderia, in I’ll Go Crazy… – “Il diritto di apparire ridicolo è qualcosa che mi è caro” – è un dubbio continuo nei testi di Bono, che lo porta sempre troppo lontano (Stand Up Comedy) ma sarà mai all’altezza dei suoi ideali. L’effetto da sali-scendi delle armonie di voce che circonda Bono nella lunga camminata nello spazio di Moment of Surrender è un’immagine perfetta del luogo in cui realmente vorrebbe essere, quando arriva al verso che recita “la visione oltre la vista”.
E lui è sicuro che, da solo, in quel luogo non arriverà mai. “Siamo persone trasportate dal suono/ le canzoni sono nei tuoi occhi/ le indosserò come una corona”, canta Bono al fianco degli staccato febbricitanti della chitarra di The Edge alla fine di Breathe – una descrizione piena di gratitudine di cosa voglia dire essere in una grande band rock & roll, in particolare negli U2. Bono sa di essere nato con una voce. Ma sa anche che senza Mullen, Clayton e The Edge, sarebbe stato soltanto un altro chiacchierone.