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Noel Gallagher ce l’ha ancora durissimo

La nostra recensione della sua performance con gli High Flying Birds al Fabrique di Milano, colonia inglese per una sera. Un successo prevedibile
Noel Gallagher's High Flying Birds a Milano

Noel Gallagher's High Flying Birds a Milano

Nessuno dovrebbe essere costretto a vedere Noel Gallagher dal vivo con solo una birra media in corpo, ma provate voi a spuntarla sugli inglesi, che hanno occupato militarmente tutti i banconi disponibili del Fabrique di Milano. Sì, inglesi, inglesi dappertutto, che tengono posizione con le mani gonfie di scontrini per la birra, che stringono come mazzi di margherite.

In una serata normale alle 21 avrebbe suonato il gruppo spalla, ma Noel Gallagher di qualcuno che scaldi il pubblico non sa che farsene: sale sul palco alle 21, attacca Do the Damage e di colpo senti tutta la voce che ha il Fabrique.

Non dubitate: Noel Gallagher ce l’ha ancora durissimo. E canta bene. Ha un carisma roccioso, potente, che riempie il Fabrique senza che lui debba schiodarsi dalla sua solita imperturbabile postura (piedi piantati a terra, sguardo basso, tanta grinta). Lascia che sia il pubblico a fare il concerto, almeno sulle sing-along (Fade Away degli Oasis, In the Heat of the Moment, Lock All Doors).

Noel tiene la lingua a freno, giusto per le prime canzoni. La serata si fa bluesy con The Death of You and Me, accompagnata da sax, tromba e trombone. Una You Know We Can’t Go Back dedicata alla moglie ed è già ora di sgolarsi su Champagne Supernova.

Come ti chiami? Vin-ce-nzo? Come cazzo fate a pronunciarlo?

«Compi gli anni? Quanti anni hai? Ventitré? Oh mio Dio. Che effetto fa?». Ecco il Noel Gallagher che abbiamo imparato ad amare (vi ricordate la sua ultima intervista a Rolling Stone?). «E poi scusa, come ti chiami? Vin-ce-nzo? Come cazzo fate a pronunciarlo?».

Tra il pubblico sventolano una Union Jack, una bandiera di San Giorgio e un’inspiegabile bandiera greca. Una ragazza prova a raccontarci di come lei e i suoi amici siano arrivati in aereo da Manchester, con il loro accento gentile e un imprecisato amore per l’Italia.

Ma bisogna approfittare della distrazione inglese e riconquistare il bar, almeno per quella Don’t Look Back In Anger che arriva puntuale all’inizio dell’ultimo encore. In alto le birre e i telefonini. Si chiude con un’altra canzone degli Oasis, The Masterplan. Tra il pubblico si vedono Omar Pedrini e Marco Mengoni. Where were you while we were getting high?

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