C’era il dolore nel suo nome, e quel dolore, forse, se l’è portata via. Non conosciamo ancora i dettagli della morte di Dolores O’Riordan, ma sappiamo che la sensibilità e la vita contorta di questa fragile ragazza irlandese, hanno giocato un ruolo importante in un partita tra le più complicate: quella che si gioca contro se stessi.
Contro un animo troppo delicato e una fatica di vivere che non concede tregua, nonostante il successo, nonostante i fan, i tour, nonostante quel pezzetto di storia della musica che si è scritto, grazie al talento e a quella voce che uno la sentiva e diceva “È Dolores” pure in un pub di ubriaconi rumorosi. Non la dimenticheremo, ricoperta d’oro, come una dea, nel video di Zombie, mentre cantava per l’Irlanda e le si spezzava il cuore per la sua terra. Non la dimenticheremo abbracciata alla sua chitarra, aggrappata all’asta del microfono con la sua grazia lunare e la grinta di un altro pianeta.
Non la dimenticheremo con la coroncina di margherite mentre cantava Animal instinct e “I’ll always be in doubt“. “Sarò sempre incerta”. Che forse lei si sentiva così, sempre, e forse neppure cantare poteva scioglierle un dubbio. Non la dimenticheremo bionda e bellissima nel video di Ode to my family, la canzone che iniziava come motivetto leggero e finiva per avvolgerti in un’atmosfera malinconica, per portarti con lei su quelle scogliere inconfondibili che erano il suo paese.
E forse il suo stare perennemente lì, in alto, senza smettere mai di guardare giù, dal punto in cui puoi cadere, era davvero lei. Era Dolores. La ragazza irlandese che non dimenticheremo mai e che immaginiamo radiosa, in un paradiso celtico, in cui possa cantare per sempre, raggiante, senza che il male di vivere rovini l’incanto.