“Tutti voi ancora credete che una donna non possa fare rap?” chiede Noname nei primi versi di Self, la breve introduzione al suo nuovo disco Room 25, uscito il 14 Settembre scorso. La risposta è subito chiara e cristallina. Può farlo, e anche molto bene anche.
Noname, nome d’arte di Fatimah Warner, è una delle più dotate autrici sulla scena ed è finalmente arrivato il suo turno. Nata nella periferia di Chicago, cresciuta nella libreria di famiglia leggendo Toni Morrison, comincia ad avvicinarsi alla scrittura con la slam poetry, nella quale inciampa grazie ai video YouTube della Def Poetry Jam consumati fino a tarda notte. Così un giorno ha googolato dove potesse trovare qualcosa del genere anche nella sua città ed è finita a passare i pomeriggi all’Harold Washington Library, dove ha incontrato un nucleo di giovani artisti locali che le ha cambiato la vita. Tra questi Chance The Rapper e Mick Jenkins che, oltre alla sua scrittura, hanno dato fiducia alle sue doti vocali, inserendola nei loro dischi come guest e spingendola ad intraprendere una carriera da solista.
Nel 2016 arriva il suo primo mixtape, Telefone. Dieci tracce disegnate con i pastelli più morbidi della scatola in compagnia di molti dei suoi amici della Windy City, che si alternano al microfono mentre la padrona di casa rimane quasi in disparte, a controllare che tutti gli invitati abbiano i bicchieri pieni. Anche perché i riflettori non interessano più di tanto a Noname. In una recente intervista su The Fader ammette come molti suoi fan la apprezzino perché la ritengono essere l’anti-Cardi B, lontana da quel modello femminile ancora dominante nel rap dove la sessualità aggressiva viene esibita come un trofeo.
In Telefone invece questi temi sono appena accennati, lasciati a matita. Lei stessa lo definisce un disco PG (ovvero adatto agli adolescenti) anche perché non sentiva di avere la maturità adatta per parlarne con disinvoltura e consapevolezza. Per trovarla decide di lasciare la sua Chicago per trasferirsi a Los Angeles, uscendo per la prima volta dalla sua comfort zone. E il sole della California ha fatto sbocciare il talento di Noname: Room 25 è un disco rotondo, maturo e sicuro di sé, che descrive alla perfezione il percorso di crescita di una ragazza afroamericana arrivata al quarto di secolo. Le liriche sono profonde, raffinate, recitate con voce diretta e consapevole che parla al cuore dell’ascoltatore. “My pussy teachin ninth-grade English, My pussy wrote a thesis on colonialism” canta sempre in Self, in una delle barre più brillanti del disco. Il linguaggio di Noname si allenta per lasciar entrare parole e colori ai quali non eravamo abituati. Davanti ai nostri occhi (e nelle nostre orecchie) la ragazza di Chicago si apre petalo per petalo come un fiore in primavera, accompagnandoci per mano nella sua stanza segreta.
Camminando sopra un tappeto sonoro intessuto da ritmiche jazz e pianoforti soul, la inseguiamo tra racconti privati, riflessioni politiche e sogni caraibici. Seguendo l’esempio di Solange due anni fa con A seat at the table e Kali Uchis lo scorso aprile con Isolation, Noname ritaglia uno spazio per la musica femminile nell’intimità domestica della propria vita.
Immerge l’ascoltatore in un universo magico che cambia continuamente ma che alla fine torna sempre in quello spazio sicuro definito dalla sua voce. Da novella Virginia Woolf, i confini della sua stanza si sovrappongono a quelli della sua indipendenza e le garantiscono la rinnovata confidenza che attraversa il disco. Room 25 racconta un percorso di accettazione di sé, dove i risultati fanno pace con le aspettative e il giudizio altrui viene filtrato da lenti colorate. Chi vuole entrare deve bussare senza disturbare e mettersi a sedere in un angolo. Gli ospiti che passano a trovarla, rispetto a Telefone, non gli rubano più la scena: la stanza ora è tutta per Noname.
In Ace, dove viene spalleggiata dai fedelissimi Smino e Saba, rappa “Labels got these niggas just doing it for the clout, I’m just writing my darkest secrets like wait and just hear me out“, dimostrando come per lei la piena libertà artistica è la condizione indispensabile affinché possa esprimere le sue emozioni più profonde. Room 25 è infatti totalmente autoprodotto, e come rivela sempre a The Fader, è stato scritto e registrato per pagare le bollette che si impilavano sul tavolo. La produzione è stata affidata al solito Phoelix, che ha riempito il disco di strumenti suonati dal vivo, rendendolo come una sessione live nella cameretta di Noname, quasi fosse un Tiny Desk Concert di NPR.
Una quotidianità semplice e imperfetta che rende la musica di Noname così facile da sentire propria. La sua scrittura trasforma anche le situazioni più comuni in fantasie colorate, i racconti minimi in una crescita fatta di inciampi e contraddizioni. Ricorda in qualche modo la protagonista di Insecure, la Serie Tv di HBO scritta e interpretata da Issa Rae. Entrambe giovani donne afroamericane nei loro vent’anni, entrambe residenti a Inglewood, uno dei quartieri black di Los Angeles, entrambe alla ricerca del loro posto nel mondo tra amori finiti male, appuntamenti deprimenti e lavori frustranti. Ma soprattutto entrambe convinte di avere un dono speciale. “Tell ‘em Noname still don’t got no money, Tell ‘em Noname almost passed out drinking, Secret is, she really think it saves lives ammette quasi sottovoce nella fragile Don’t forget about me“.
Difficile dimenticarsi di Noname. Il suo è un talento cristallino, ipnotico e una volta entrati nel suo mondo non si vuole più uscire. Perché una volta che ci siamo tolti le scarpe e abbiamo varcato la soglia di Room 25 ci sentiamo finalmente al sicuro.