Due minuti e un secondo. Tanto dura 31/07 di Mecna, e tanto basta. Non sta neanche su Spotify: la puoi trovare su YouTube, mentre da qualche parte deve esserci ancora sepolto il download preistorico direttamente dal sito di Corrado, insieme a tutto l’EP Bagagli a mano, un condensato di perle datato 2011 di cui questa è solo la punta dell’iceberg. A primo impatto sembra un bozzetto, un pezzo appena appuntato, un demo da portare in studio per smussarne gli spigoli. In realtà è perfetta così: non potrebbe essere di più, non potrebbe essere di meno. È emotivamente satura: di lacrime, di malinconia, di tristezza; in quel connubio, in quell’equilibrio, c’è tutto Mecna, passato presente e futuro. Qualsiasi orpello, qualsiasi correzione, sarebbe un attacco alla sua purezza, la distruggerebbe.
Che resti intatta, allora: ruvida, scarna, lo-fi, grezza nei suoni e nel flow, costruita solo sull’impalcatura del campione di Avril 14th, di Aphex Twin. Oggi sarebbe un vocale, all’epoca era un sms scritto di getto, di quelli neanche riletti, neanche corretti, un flusso di coscienza duro, incontenibile, sincero. La sua forza, la sua poetica è tutta lì: nell’esigenza creativa che l’ha mossa, nello sfogo puro, non calcolato che rappresenta.
Corrado odia l’estate – si sa, non perde occasione per dirlo – ed è qui che è nata la leggenda, nel pomeriggio di quel 31 luglio di ormai tanti anni fa. Mecna, per esorcizzarlo, si lascia ispirare dalle note di Aphex Twin, dalle note di quella strumentale che ha nelle orecchie da giorni. E vuota il sacco.
Così, su gocce di pianoforte la storia prende il via, a singhiozzi: 31 luglio, l’estate, i festeggiamenti, l’Italia che si ferma, le vacanze; noi siamo con Corrado, barricati in casa, sul divano a guardare il telegiornale di mezzanotte, a rimpiangere l’inverno, che a gennaio non c’è tutto questo tempo per pensare. All’improvviso entra qualche spiffero, non si sa bene da dove, non si sa bene di cosa. Facciamo finta di nulla, ripartiamo. Stavolta siamo in ufficio: il grigio della scrivania, le ferie mancate, l’invidia. Un altro spiffero: un volto, un nome, ma noi non vogliamo esserne convinti. Telefonate verso spiagge assolate, lontane. Distanze. Mancanze? Proviamo a far finta di niente, ma è difficile.
Di nuovo casa, ma non è chiaro se sia notte o giorno. Abbiamo smarrito le coordinate a forza di pensare. È un crescendo: sul piatto c’è una “banale pasta al pesto”, mentre una vita altrettanto banale scorre lenta, spenta, stritolata da dolori che ora traboccano. Meglio provare a dormire. Ancora uno spiffero, le stesse sembianze di prima. Fuori è buio, ma dentro la luce è accesa. Che senso ha continuare a far finta di niente? Un lampo, trasaliamo: il volto ha un nome, due occhi e una storia; la stessa del nostro malessere. Squarcio sulla tela, finalmente.
E quando parti?
Poi dove vai e quando torni, quanto manchi?
Quand’è che torni di preciso?
Quanti giorni, che hai deciso?
Dove dormi, quanto manchi?
Quanto manchi.
Fine. È tutto qui quello che volevamo dire.
Le domande rimbombano, le risposte spariscono, fra un messaggio non risposto, una coda in autostrada e una granita all’amarena. Siamo di nuovo al buio, di nuovo soli, sul divano, là dove avevamo cominciato. E fuori è ancora 31 luglio.
Fanculo l’estate. È roba per chi sta in pace con se stesso.