Ci sono artisti che riescono a mantenere un basso profilo pur nella loro grandezza e a rispondere alle domande in maniera precisa, senza che il discorso venga sviato troppo, oppure attaccano senza paure e solo quando ne sentono la necessità.
Uno di questi è, non a sorpresa, Paul Weller, ex leader dei Jam, degli Style Council, solista dal 1989, a Milano per presentare il nuovo Saturns Pattern, uscito martedì scorso, album perfettamente riuscito dove continua a sperimentare nuovi suoni. In anteprima sul sito di Rolling Stone potete vedere, in collaborazione con Muzu, il video di un pezzo tratto dal nuovo album dal vivo: White Sky.
Il Modfather, sempre elegante in giacca, con un’esibita abbronzatura quasi paonazza e un taglio sempre piuttosto improbabile, racconta del nuovo album ma anche delle sue attuali posizioni politiche e della consapevolezza personale raggiunta a 57 anni (che compie lunedì prossimo).
Che idee voleva realizzare prima di entrare in studio a registrare l’album?
Solo dei progetti vaghi ma volevo dare importanza alla batteria e in generale al ritmo.
I primi due pezzi partono con delle schitarrate quasi metal, delle vere bombe.
Sì, è vero. Del resto io sono prima di tutto un chitarrista e, come molti oggi, non mi interessano affatto le definizioni dei diversi generi. Se mi viene qualcosa la faccio e basta.
Con una storia come la sua alle spalle, lei si sente di aver riflettuto i tempi o di averli guidati con la sua arte?
Penso che un artista dovrebbe riflettere i tempi che si trova a vivere, almeno questo dovrebbe essere l’obiettivo.
I testi di oggi fanno schifo. E non lo dico perché sono un vecchio babbione.
Oggi crede che il rock rifletta ancora il mood generale?
No. La domanda dovrebbe essere perché non lo fa più? E la risposta non la so. Forse ai tempi in cui io ero giovane i ragazzi trovavano interessanti la musica, la moda e il calcio mentre oggi ci sono troppe cose da seguire e forse si perdono. Però se vedo dei gruppi che mi piacciono in un club rimango ancora colpito.
Per esempio?
Mi piacciono gli Young Father, li trovo piuttosto innovativi.
Da un recente studio è risultato che ai tempi dei Beatles i testi delle hit erano, lessicalmente parlando, da scuole superiori mentre oggi arrivano alla II-III elementare. Cosa ne pensa?
Be’ io odiavo la scuola quindi non è che posso parlare molto dall’alto della mia formazione. Quello che posso dire e che spero non risulti detto da un vecchio babbione è che i testi di oggi fanno veramente schifo. Non c’è la volontà di approfondire e raccontare una storia. E sono sicuro che queste cose le avrei dette anche a 15-16 anni! L’unico genere che ancora oggi è un po’ innovativo è la dance.
Quindi i dj come nuove rockstar?
No, non mi azzarderei assolutamente a dire una cosa del genere. Forse nei primi anni 90 ma poi basta.
Ai tempi dei Jam le sue canzoni riflettevano anche le sue posizioni politiche: come mai oggi non è più così? Come vede la situazione dell’Inghilterra oggi?
In quel periodo mi veniva naturale parlare di politica, mentre oggi non è assolutamente più così. Penso che il popolo inglese sia migliorato in questi anni mentre i politici sono solo peggiorati. Certo posso dire che il senso di unità e di comunità che poteva sentirsi nella classe operaia è morto e questo ai tempi della Thatcher, negli anni ‘80. Una cosa che mi ha fatto ribrezzo ultimamente è stato vedere il nostro Premier David Cameron ai funerali di Nelson Mandela: quanta ipocrisia! Prima era stato capace di definire terroristi i gruppi di anti-apartheid in Sud Africa e poi è andato a piangere lì: terribile!
A proposito del pezzo I’m where I should be ha dichiarato di aver capito quale fosse il suo posto nel mondo dopo 55 anni, per che cosa?
Sì, ho impiegato tanto tempo a capire quale fosse la mia vera pelle. Non so se questo sia dipeso dall’età o dall’aver incontrato la persona giusta. Ci sono degli aspetti positivi nell’invecchiare: non me ne frega più niente di quello che pensano gli altri e mi comporto solo come mi va.