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Perché Eurovision è l’Europa che sogniamo

Sul palco di Eurovision le barriere vengono abbattute, registri e tradizioni differenti finiscono per contaminarsi e la differenza diventa un valore da difendere e diffondere: 37 nazioni unite da un solo linguaggio universale, la musica

Artwork by Stefania Magli

Ci siamo: il 9 maggio sarà alzato il sipario sulla 67ª edizione dell’Eurovision Song Contest, la kermesse internazionale organizzata annualmente dai membri dell’Unione europea di radiodiffusione.

Dobbiamo ancora riprenderci dal finale da pelle d’oca dell’edizione dello scorso anno. Ci siamo lasciati alle spalle un evento a suo modo storico, per tutta una serie di motivi. Il primo, ovviamente, è la location, con una Torino calata improvvisamente nei panni di protagonista del panorama musicale europeo; il secondo è la storica imposizione della Kalush Orchestra, che con la loro Stefania hanno inciso un inno che vivrà a lungo nella memoria collettiva della resistenza ucraina. Un finale che, in un periodo così delicato, ha assunto una valenza simbolica importantissima, consegnando a 600 milioni di spettatori un messaggio di unione, di solidarietà tra nazioni e tra popoli. Questo il segnale di fratellanza che è salito potente, potentissimo, dal palco del Pala Olimpico.

Idealmente la manifestazione di questo’anno avrebbe dovuto svolgersi a Kiev, in Ucraina, ma i risvolti della guerra hanno costretto gli organizzatori a optare per il Regno Unito. La casa dell’Eurovision Song Contest sarà la Liverpool Arena, nella suggestiva zona portuale di King’s Dock: qui 37 artisti, in rappresentanza di altrettante nazioni, concorreranno per aggiudicarsi l’iconico trofeo del microfono di vetro.

Chi ascolteremo a Eurovision 2023

A rappresentare l’Italia ci sarà il vincitore del Festival di Sanremo, Marco Mengoni, che canterà la sua Due Vite. Il cantante di Ronciglione avrà il difficile compito di competere con 23 cantanti solisti, 4 duetti e 10 gruppi provenienti da tutta Europa (e non solo), che si contenderanno il titolo di “migliore canzone europea”. Tra i partecipanti ci sono artisti di tutte le età, dal greco Victor Vernicos di soli 16 anni al leader della band croata Let 3, Damir “Mrle” Martinović, che ha 61 anni. Per vincere la gara, i partecipanti dovranno attenersi a precise regole di durata, forma e contenuto delle canzoni, ma anche alla modalità di votazione. Ogni paese partecipante ha infatti il diritto di esprimere un voto per la canzone preferita, determinando così la classifica finale.

Un pezzettino di Italia ci sarà anche in Norvegia: la rappresentante del Paese scandinavo è infatti nata a Pietra Ligure in provincia di Savona, e ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a Cisano sul Neva, in Liguria. Finita la scuola si è trasferita in Norvegia, il paese che rappresenterà alla competizione europea. L’arrivo a Oslo ha segnato un punto di svolta nella sua carriera: ha partecipato al programma The Voice, si è iscritta al Lillehammer Institute of Music Production ed è arrivata alla ribalta nazionale con il singolo Queen of Kings, ottenendo la certificazione di disco di platino con 60mila copie vendute in patria. E poi, ovviamente, ci sono i Piqued Jacks, band toscana dall’esprit internazionale e vincitrice della 2^edizione di Una voce per San Marino, pronti a graffiare sulle note di Like an animal sul grande palco della Liverpool Arena.

Eurovision 2023: liberare la voce di 37 nazioni

Lo slogan scelto per l’edizione di quest’anno, United by Music, riassume alla perfezione il significato più profondo della manifestazione: ricordare a tutti, spettatori e artisti, che la musica è ancora un mezzo d’integrazione potentissimo, capace di azzerare qualsiasi differenza. La costruzione di un ponte tra i popoli, in grado di cancellare odi e differenze, passa anche da sette note.

Sul palco di Eurovision le barriere linguistiche vengono abbattute, registri e tradizioni differenti finiscono per contaminarsi e la differenza diventa un valore da difendere e diffondere. Per tutti questi motivi, l’Eurovision (i Måneskin lo sanno bene) è un evento che, potenzialmente, può plasmare per sempre il percorso di un musicista: artisti provenienti da nazioni non anglofone avranno la possibilità di esprimersi davanti a una platea vastissima, esprimendosi nella loro lingua e facendosi apprezzare da un pubblico variegato e stupendamente meticcio. Come? Usando quel linguaggio capace di valicare ogni confine geografico e temporale: la musica.

CoopVoce e Rolling Stone: da sempre dalla parte dell’inclusività

Mai come negli ultimi tempi l’attenzione per tematiche come inclusività e diversità sta fortunatamente conquistando il suo giusto spazio all’interno della conversazione pubblica e sociale. Per quanto stia diventando un argomento diffuso, sono però ancora molti i passi da fare per spogliare la nostra società da pregiudizi culturali e rendere il quotidiano uno spazio sicuro per ogni singolo individuo.

Inclusività e diversità sono anche valori che contraddistinguono, da sempre, le visioni di due brand come CoopVoce, sensibilissimo a temi come libertà di espressione, inclusione sociale e sostenibilità, e Rolling Stone, una testata di campo progressista ed ecologista che ha fatto della tutela della libertà (intesa nel senso più ampio) un patrimonio da difendere e rivendicare con forza.

Cosa significano concetti come inclusività e diversità, oggi? Che valore hanno all’interno della società? E che ruolo può giocare un festival musicale sull’argomento? Grandi passi avanti sono stati compiuti su questi temi, e altrettanti ne verranno. Nel frattempo, prendiamoci del tempo per festeggiare i traguardi raggiunti e facciamolo a suon di musica, lo strumento capace di liberare la voce di tutti e di connettere molteplici culture.

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