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Perché Taylor Swift è uscita da Spotify

Dietro la mossa della cantante ci sarebbe una strategia della casa discografica: «Vogliono aumentare le vendite, ma è una scelta miope», ci dice una fonte

Taylor Swift non è mai stata una grande fan della musica gratuita – quest’anno, sul Wall Street Journal, ha scritto: “La musica è arte e l’arte è importante e rara. Importante, e le cose rare hanno un gran valore e per questo vanno pagate”.

Le sue posizioni si sono fatte più estreme lunedì mattina, una settimana dopo la pubblicazione del nuovo album 1989, quando la Big Machine Music, la sua etichetta, ha tolto all’improvviso l’intero catalogo di Taylor Swift da Spotify.

Una fonte nell’industria musicale dice che la Big Machine ha preso la sua decisione senza negoziare con Spotify – che offre un servizio gratuito e che consente agli utenti di eliminare gli intermezzi pubblicitari pagando 9,99 euro al mese. La fonte riferisce che la mossa è stata decisa dal fondatore dell’etichetta, Scott Borchetta, per tentare di dare «una spinta alle vendite» e «far salire il valore della sua società». «È una decisione che è arrivata all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno», dice la fonte. 1989 ha venduto 1.287 di copie nella sua prima settimana (qui sotto, la risposta di Taylor Swift “agli esperti musicali che prevedevano che non avrebbe superato le 650 mila copie”).

 

Ma la fonte non condivide la logica di Borchetta: «Ci sono molte ragioni che ti possono portare a vendere un milione di dischi, ma togliere un disco da Spotify non è di sicuro tra quelle. Ogni quindicenne sa dove procurarsi quel disco, e non è di certo su iTunes».

Lunedì Spotify ha rilasciato una dichiarazione a questo proposito: “Amiamo Taylor Swift e i nostri oltre 40 milioni di utenti l’amano ancora di più – in quasi 16 milioni hanno ascoltato una canzone nell’ultimo mese e il suo nome compare su più di 19 milioni di playlist. Speriamo che cambi idea e che si unisca a noi nella creazione di una nuova economia della musica che funzioni per tutti. Crediamo che i fan debbano poter ascoltare musica dove e quando vogliono e che gli artisti abbiano il diritto di essere pagati per il loro lavoro e di essere protetti dalla pirateria. Per questo quasi il 70 per cento dei nostri ricavi torna alla comunità musicale”.

Il servizio di streaming ha creato due playlist per l’occasione. Una delle delle due, “Come back, Taylor!” (Taylor, torna), è fatta da canzoni i cui titoli, messi in fila, compongono la frase: “Hey Taylor, we wanted to play your amazing love songs and they’re not here right now. We want you back with us, and so do do do your fans”.

Le vendite hanno continuato a calare per tutto l’anno, mentre l’industria musicale sta spostando il suo baricentro (verso la vendita di canzoni da scaricare all’offerta dei propri cataloghi a servizi di streaming come Spotify, YouTube e Beats Music). Le vendite di dischi negli Stati Uniti sono calate del 14 per cento, secondo Nielsen Soundscan, e le vendite di singole canzoni sono scese del 13 per cento. Ma gli abbonamenti a servizi di streaming sono aumentati del 57 per cento rispetto al 2013, secondo la Recording Industry Association of America.

Alcuni artisti, tra cui Thom Yorke dei Radiohead, hanno criticato duramente il modello di business di Spotify, insistendo sul fatto che ricevono un pagamento troppo basso per i diritti di canzoni che i loro fan ascoltano a gratis. Spotify ha replicato che i ricavi per gli artisti saliranno, come conseguenza dell’aumento del numero degli utenti e della crescita degli abbonamenti alla versione premium.

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