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Potere al popolo: la nuova musica di Napoli

Ora che tutti stanno impazzendo per Liberato e la musica in dialetto, ci siamo fatti consigliare da Franco Ricciardi quali sono i nomi da tenere d’occhio nella scena partenopea
Foto di Paolo Manzo/NurPhoto via Getty Images

Foto di Paolo Manzo/NurPhoto via Getty Images

A true story. Milano, circonvallazione esterna. Sul filobus ci sono due ragazzi, lui e lei, entrambi col bomber dalla Stussy, bevono birra ascoltando Nino d’Angelo e aspirando con una cannuccia il fumo che levita da un pezzetto di carta stagnola (con tanto di sciura scandalizzata, un paio di sedili più avanti). Il caso vuole che tutto questo accada all’altezza di piazza Napoli, ma tant’è.

Non bastano un paio di hipster per dire che ci sia hype attorno alla musica neomelodica, come non bastano le view di Liberato per affermare che certi fenomeni stiano uscendo dai confini regionali diventando mainstream. È chiaro, però, che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un interesse sempre più crescente verso cose con una forte radice popolare. Nel cinema o in tv è evidente: basta pensare al successo di Gomorra – La serie o di Lo chiamavano Jeeg Robot. Nella musica, invece, le cose si stanno evolvendo più lentamente ma si notano comunque cambiamenti interessanti.

Non mi riferisco solo al fatto che ormai tutti si sono accorti di quanto pubblico porti oggi un artista campano – motivo per cui negli ultimi Sanremo abbiamo visto ripetutamente Clementino, Rocco Hunt e pure Maria Nazionale. Intendo dire che sta tornando una vera e propria fascinazione per tutto ciò che è dialettale e di strada, non importa che sia il neorealismo trasteverino o la poesia cruda di Scampia.

«Non credo sia solo una moda passeggera, credo che nelle persone ci sia ciclicamente il bisogno di un ritorno alla semplicità. E oggi tutto quello che è la semplicità, la verità, la vai trovare nel popolo». Così la pensa Franco Ricciardi. Se non sapete chi è, la risposta è facile: un mito, oltre che una delle persone più adatte a cui chiedere quali sono i nomi che oggi rappresentano meglio la nuova musica napoletana.

Classe 1966, Ricciardi ha alle spalle un David Donatello per la colonna sonora di Song’e Napule dei Manetti Bros e una carriera infinita: stando a quanto dice Wikipedia ad oggi ha pubblicato almeno venti dischi, l’ultimo è Blu ed è uscito a fine aprile. È uno che quando fa un concerto a Napoli raccoglie in media 10.000 persone, e tra queste trovi molti con le frasi delle sue canzoni tatuate addosso.

È un grande talent scout: è stato il primo a lanciare Enzo Dong e ha supportato molti altri rapper della scena campana. «Uno dei motivi per cui l’interesse verso un certo tipo di musica è andato via via crescendo lo troviamo nella rete, che ha tanti difetti ma ha anche il pregio di aver dato spazio ai nuovi talenti andando a influenzare i cosiddetti media tradizionali» – spiega – «Prima era YouTube, oggi è Spotify, se un ragazzo riesce a fare numeri su queste piattaforme, poi radio e tv inizieranno a interessarsi a lui».

Secondo Ricciardi questo nuovo interesse per la musica napoletana è da ricondurre innanzitutto alla lingua. «Io credo che se un ascoltatore è in cerca di una musica più viscerale, il napoletano ha sicuramente una marcia in più. Puoi anche non sapere il significato delle parole ma sarai comunque attratto dal suo suono, sia che si tratti di una cosa bella che di una cosa brutta. Se ti dico che ti voglio picchiare – “t’aggia vattere” – le parole ti mettono tensione anche se non sai cosa vogliono dire. Oppure, al contrario, capisci da solo la differenza tra “ti voglio bene” e “te voglio bene”, no?»

Per Franco questo è uno dei momenti migliori per chi fa musica a Napoli – «credimi, i giovani oggi fanno paura, crescono con una velocità assurda, vanno ai 200 all’ora» – ed è molto importante perché per un ragazzo la carriera musicale può essere davvero un’alternativa valida per stare fuori da certi ambienti. Ci sono molti nomi su cui puntare, i rapper e i cantanti che meritano attenzione sono diversi ma uno di quelli che più l’ha colpito ultimamente è Christian Revo: l’ha scoperto per caso, ha lo studio in un garage dietro la casa di sua madre, ed è rimasto impressionato da quanto è bravo.

Un altro nome da segnalare è CoCo, che per Franco rappresenta la perfetta unione tra un suono moderno, diciamo indie, e melodie che ricordano da vicino la musica popolare. Ci tiene a citare anche Vale Lambo: «È uno senza fronzoli, che non si fa problemi a citare nomi di camorristi nelle sue canzoni. Davvero non te le manda a dire».

Quello su cui insiste di più, però, è Lele Blade: per Franco è davvero il nuovo che avanza e, anche se i pezzi pubblicati finora possono non convincere a pieno, ha un potenziale incredibile e ci stupirà sicuramente in futuro. Infine non poteva mancare Ivan Granatino, il rapper con cui collabora da sempre e che ha cantato nella hit ‘A storia ‘e Maria, inserita prima nella colonna sonora di Reality di Matteo Garrone e poi in Gomorra – La serie: «In lui ci ho sempre creduto, deve ancora uscire come si deve, ma veramente ha ancora tanto da dire».

Inizialmente in molti credevano addirittura che Granatino fosse proprio Liberato, ma Franco fuga ogni dubbio dicendo la sua su questo fantomatico volto della musica napoletana di cui non si sa nulla, tranne che ha mosso i primi passi proprio qui su Rolling Stone e che oggi esordirà ufficialmente al MI AMI festival. «Ti assicuro che Liberato non è Ivan» – conclude – «Probabilmente Liberato non è nemmeno di Napoli. Sicuramente non viene dalla musica popolare, lo capisci da come canta e da come scandisce le parole, si sente che non è quello verace. Ci scommetto che è del Vomero, comme t’aggia fa’ capí, sarà più della parte “in” della città, non penso arrivi da abbasc ‘a Sanità. A prescindere dal mio gusto personale, credo sia stata un’operazione fortissima. Chapeau».

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