La prima giornata del festival internazionale più amato dagli italiani – quest’anno a scalpitare sotto i palchi c’è anche il cestista, italiano in NBA, Gigi Datome – raccontata dal nostro inviato sul campo. Perché il Primavera Sound ti costringe a fare sempre delle scelte. Queste sono state le nostre:
Arthur Russell’s Instrumentals directed by Peter Gordon
Si comincia presto, alle quattro del pomeriggio, con un concerto unico e diverso da tutti gli altri: un tributo alle composizioni strumentali del compianto Arthur Russell messo in piedi da Peter Gordon con l’aiuto di musicisti d’eccezione (Rhys Chatham, Peter Zummo, Ernie Brooks, Gavin Russom…). Spettacolo coinvolgente, anche se difficile, ma che diventa imperdibile con la comparsata a sorpresa di Tim Burgess dei Charlatans. Davvero erfetto per cantare i brani di Arthur Russell.
La frase da dire agli amici che se li sono persi: «Dovevate venire all’Auditorium! Era bellissimo, e si poteva anche dormire».
Panda Bear
Sono le 17 e la fila per entrare nell’Auditorium è già lunghissima. Panda Bear comincerà a suonare fra una mezz’ora ma la sensazione è che tutti quelli che si sono presi la briga di arrivare al Forum sul presto stiano cercando di entrare lì dentro. Il concerto è il solito concerto di Panda Bear: c’è lui, statico, dietro il solito tavolo pieno di macchine ed effetti e c’è un maxi schermo gigante su cui vengono proiettati dei visual psichedelici – in linea con il concept dell’ultimo disco – e bellissimi. Per più di un’ora si viene letteralmente bombardati da suoni, luci e immagini fino ad arrivare al punto di non capirci più nulla. C’è a chi piace e a chi non piace: noi stiamo di brutto dalla parte dei primi.
La frase da dire agli amici che se lo sono perso: «Zi’, non puoi capire. Se semo fatti il viaggione» (questa l’ho sentita dire davvero)
Hans-Joachim Roedelius
Dopo tre ore passate di fila dentro l’auditorii ci si ritrova ormai con le chiappe a forma di poltroncina, ma l’occasione che ci si presenta davanti è più unica che rara: quella di Barcellona sarà l’unica occasione del 2015 per vedere sul palco una delle leggende viventi del kraut rock. Roedelius, visto da vicino, fa quasi tenerezza: è emozionato e contentissimo, c’è la moglie in prima fila che scatta foto all’impazzata mentre lui, coadiuvato da Christopher Chaplin, costruisce trame sonore rarefatte e ipnotiche con pianoforte, modulare e campionatori vari. Bellissimo.
La frase da dire agli amici che se lo sono perso: «Gli anziani sono sempre i migliori!»
The Replacements
Salgono sul palco che sembrano dei reduci capitati lì per caso, poi attaccano a suonare e scatta la magia. Fanno un’ora di concerto tiratissimo, senza pause, one-two-three four e via, un pezzo tira l’altro. Sottopalco si scatena il delirio tra gente che pippa usando le chiavi di casa per tirare su la coca e chi poga e canta. Perdonateci il dettaglio droghereccio: ma un live dei Replacements ce lo immaginavamo proprio così. Selvaggio, sconclusionato, ma anche divertentissimo. Suonano tutte le canzoni che la gente vorrebbe sentire, tranne Unsatisfied. Menzione specialissima, poi, per la cover di I Want You Back dei Jackson 5.
La frase da dire agli amici che se li sono persi: «Sembrava di stare in una birreria bresciana, ma con la musica bella!»
Mineral
Un’altra delle reunion imperdibili della serata: i Mineral sono stati un gruppo importantissimo, seppur se per pochissimi. Appartengono a quella generazione che a fine anni ’90 aveva fuso emotività e hard core. Non sono stati i primi, e neanche i secondi, ma hanno indicato una via. Come sempre accade nelle reunion: suonano meglio di come facevano all’epoca. Forse addirittura un po’ troppo.
La frase da dire agli amici che se li sono persi: «È stato un concerto talmente emo che ho preferito andarci da solo».
Tyler, The Creator
Con la musica di Tyler, The Creator ho più o meno lo stesso rapporto raccontato nel ritornello di una delle sue canzoni più famose: “I fucking hate you, but I love you!”. Ecco, io odio Tyler, penso sia un’idiota, ma trovo che la sua musica sia interessante e che il personaggio meriti attenzione. La cosa che mi sorprende di più, una volta sul palco, è il modo in cui riesce ad avere la folla in pugno. Sempre. Ed è incredibile il modo in cui una proposta musicale così identitaria e orgogliosamente nera riesca a fare breccia su migliaia di ventenni bianchi e borghesi. Tra le prime file c’erano praticamente tutti i giovanissimi del Primavera Sound e tutti cantavano, saltavano e pogavano come se si trattasse dell’ultimo concerto della loro vita.
La frase da dire agli amici che se lo sono perso: «Ogni tanto è bellissimo sentirsi fuori luogo a un concerto».
Chet Faker
Inizia da solo e ti sembra di assistere a un concerto potenzialmente bellissimo, poi piano piano salgono i musicisti e boh, la magia si interrompe. Chet Faker ha dovuto prendere gli anabolizzanti per adattarsi ai grandi palchi e il risultato è che ne è uscito un po’ ammaccato anche a causa di problemi tecnici davvero inspiegabili e un suono di batteria orrendo. Più che altro, mentre lo vedi capisci che non c’è niente di sbagliato in quello che fa. È tutto educato, perfetto, scolastico. E paraculissimo.
La frase da dire agli amici che se lo sono perso: «Chet Fail!»
Sunn o)))
Un rituale satanico, una performance più che un concerto, la solita ora di scoregge con lachitarra. Ognuno definisce il live dei Sunn o))) come può, ma è stata una delle cose più potenti e deflagranti di questa prima serata di Primavera Sound. Sembrava di essere finiti per caso in una dimensione parallela dove il tempo e lo spazio avevano smesso di esistere.
La frase da dire agli amici che se li sono persi: «È come una seduta di vibromassaggiatore. A fine concerto non ha più la cellulite» (anche questa l’abbiamo sentita dire davvero).