I Migos hanno perso l’aereo. La scommessa del secondo giorno del Primavera Sound, portare la band-fenomeno della trap di Atlanta sul palco come headliner, finisce così, con una scusa a cui non crede nessuno.
Offset, Takeoff e Quavo non hanno invaso con la loro “Culture” nata nelle strade del quartiere di Gwinnet County e diventata globale a colpi di mixtape, slang, Versace, catene d’oro, Rolex, milioni di visualizzazioni, streaming e investiture importanti come quella di Childish Gambino che quando ha ritirato il Golden Globe per Atlanta nel 2016 ha detto: «Bad and Boujee è la miglior canzone della storia». Peccato, sarebbe stato interessante seguire ancora il percorso immaginato dal Primavera Sound con il suo cartellone sorprendente. Doveva essere: nel giorno delle chitarre arrivano i beat della nuova generazione di black music per dimostrare che l’hip-hop tiene il palco (da headliner) come il rock.
E invece, sorpresa, hanno vinto ancora loro, gli strumenti musicali classici: basso, batteria, chitarre e amplificatori, tastiere, fiati e un microfono da cui escono parole vere di canzoni vere. E così il secondo giorno del Primavera finisce per riaffermare la forza delle band.
Era il giorno delle chitarre, si diceva. Le Breeders che aprono alle sette di sera sono un ricordo di loro stesse, e nonostante i sorrisi di Kim e Kelley Deal sembrano aver dimenticato come si sta sul palco, ma in giro nelle varie situazioni del Festival c’è un sacco di distorsione. La sorpresa sono i Cari Cari “Dalle montagne dell’Austria alle spiagge di Barcellona” come si presentano loro stessi, un fantastico duo DIY alla White Stripes con la splendida cantante-batterista Stephanie Widmer che spinge e sa cantare e suona un sacco di cose (tra cui una specie di digeridoo da montanari) e un giovane Jack White austriaco di nome Alexander Kock totalmente surreale che tormenta una Gibson Hollowbody da bluesman elettrificato. Sono finiti nella colonna sonora della serie Shameless, e li rivedremo presto su uno dei palchi principali. Un’altra delle cose migliori l’abbiamo vista al pomeriggio nel cortile del CCCB tra le band del Primavera al Raval: i Fontaines D.C. da Dublino, giovanissimi e incazzati, con appena quattro singoli e un sacco di garage-rock.
Ma è sul palco Seat che aspetta i Migos (e sul palco gemello Mango piazzato di fronte) che si gioca tutta la partita. Arriva Father John Misty, ed è perfezione ed eleganza. Ha la presenza di un attore e una voce pura, si appoggia con una naturalezza incredibile sull’atmosfera della sua band di barbuti, più una sezione di fiati e archi deliziosamente retrò e ha canzoni impeccabili. Hollywood Forever Cemetery e il ritornello “someone’s gotta help me dig” o I Love You Honeybear con il sole che scende sul mare è quella magia che il Primavera cerca.
Stessa perfezione per i National che con il loro sogno elettrico espandono l’atmosfera creata da Father John. Due concerti complementari, basati sulle storie personali, sull’identità di musicisti che si uniscono (e a volte si scontrano) sul palco per comunicare e parlare di solitudine, rabbia, amore, sfinimento alcolico. Un’operazione empatica, non una celebrazione edonistica. Basta ascoltare la voce sepolcrale di Matt Berninger e il suo modo di girare sul palco come se fosse capitato lì per caso dal bar più vicino. Quando canta sui toni bassi ti toglie il fiato con il suo realismo e l’umorismo dark mentre i gemelli Dessner offuscano tutto con nebbie elettroniche. I National suonano come se fossero sempre sul punto di annegare, ma alla fine riescono a tirare fuori tutti dalle proprie zone oscure: I Need My Girl la canzone più romantica degli ultimi 10 anni. Day I Die è la catarsi, la scaletta è un ibrido di sensazioni tra Blues elettronico e dark rock che esiste solo con loro.
E mentre i Migos perdono l’aereo e saltano la data, i National perdono il bagaglio mentre arrivano da Chicago, ma Matt Berenger sale sul palco lo stesso indossando un vestito comprato poche ore prima che gli sta malissimo, alza il bicchiere pieno di vino e ringrazia continuamente: «Continuate ad invitarci a questo festival, è fantastico».
Dopo i National, il punto è capire se nella parte più sperimentale del cartellone del Primavera c’è la stessa sostanza e profondità. Le Ibeyi hanno grazia e bellezza, le armonie vocali e una coordinazione perfetta con accento cubano ma non hanno la botta, The Internet hanno gli strumenti del funk e il personaggio potente della cantante Syd (Sidney Loren Bennett) ma non hanno abbastanza groove (colpa anche del suono pessimo del palco Pitchfork), Cigarettes After Sex è una fiaba elettronica ma all’una e mezza di notte è troppo lento per catturare l’attenzione del pubblico, le Haim arrivano con tutto l’hype delle sorelle Danielle, Este Alana e delle loro amicizie famose ma si scopre che fanno canzoni di maniera e sembrano delle ragazzine che giocano a interpretare la rock band al femminile.
E intanto, al posto dei Migos sul palco principale arrivano Los Planetas, vecchie glorie del rock spagnolo anni ’90 da Granada con chitarre e melodie alla Mercury Rev. A recuperare il significato originale del Primavera e la scommessa del secondo giorno ci pensa Tyler The Creator, “il cannibale”di Odd Future che grida e morde come nessun altro MC in circolazione. Ha dei bassi che ti spazzano via, una fisicità straripante, e il dono dell’imprevedibilità assoluta. Non sai mai cosa succederà anche se sul palco c’è solo lui. Ogni beat è una sorpresa, lui si ferma e riparte in continuazione ma spara sempre bordate di groove occupa il palco con la sua voce graffiante e il suo modo di ballare e lo tiene bene. Tyler Gregory Okonma lotta contro l’incomunicabilità che sta dietro all’iperconnessione e alla condivisione, la sua furia è un modo per gridare la verità. Resta il fatto che è l’unico ad avere questa personalità.
Il resto del cartellone sperimentale del Primavera è musica di sottofondo mentre i ragazzi sempre più giovani del pubblico fanno altro. Qualcuno (Idles, Black Madonna forse fanno divertire, ma intanto sul palco Primavera With Apple Music c’è quel pazzo di Ty Segall che spacca tutto con la sua Freedom Band, le chitarre distorte e la scritta Freek sulla batteria, ed è tutta un’altra cosa.