Il terzo giorno del Primavera Sound è quello della svolta. C’è una rock band, gli Arctic Monkeys, che fa di tutto per essere un classico ma lo spettacolo arriva con la sperimentazione, le novità e i nuovi generi sempre più headliner nel cuore del pubblico: pop elettronico, hip-hop, grime, Lorde, Lykke Li, A$AP Rocky e Skepta.
Ancora una volta il Primavera Sound diventa l’incontro più riuscito ed efficace di stili completamente diversi, messi insieme in un luogo bellissimo e con un’atmosfera che esiste a prescindere dalla musica (è diventato il Coachella europeo: esserci è fondamentale) in una sequenza serrata di concerti brevi, con scalette ridotte per avere la massima efficacia, che ti costringe a correre da un palco all’altro e a prendere un po’ da tutti senza fissarti su niente, per entrare senza barriere nel flusso imprescindibile della musica contemporanea.
Il terzo giorno è anche quello dell’interpretazione femminile con tre donne che si alternano sui due palchi principali. Si comincia con la classe dell’icona Jane Birkin che canta le canzoni di Serge Gainsbourg accompagnata da un’orchestra di 50 elementi, un rito che incanta e riesce nell’impresa di avvicinare al presente un suono e un’atmosfera proveniente da un passato che per questa generazione è remoto.
Jane Birkin è l’eleganza, Lykke Li è la delizia con le sue melodie di ghiaccio e la sua presenza piccola e penetrante. Avvolta in un abito di latex nero, Lykke Li è una Lady GaGa in tonalità minore che cattura e ti prende allo stomaco, è una raffica di note lunghe che tagliano il tramonto e creano un’elegia dark. Non è scontato con un’artista pop che le canzoni siano più belle e coinvolgenti dal vivo che su disco, ma con Lykke Li è così. Quando scende il buio diventa sempre più perfetta nell’oscurità, si immerge nelle luci blu ed è un’ipnosi elettronica attraente e disturbante che gira intorno alle due parole che la definiscono al meglio nel titolo del suo ultimo album: così triste e così sexy.
Lorde è la versione in bianco, una celebrazione dell’energia positiva della musica pop con un contenuto umano autentico dentro: «Per un’ora e mezza siete nella mia casa e nella mia casa si balla» dice. Le sue canzoni sono un flusso di ritmi elettronici percussivi, lei è la celebrazione del piacere di stare sul palco, e a 21 anni ha una presenza scenica pazzesca. Lorde sul palco principale è la dimostrazione che se c’è il talento e la qualità di scrittura anche il pop si può prendere il palco di un festival come il Primavera. Ma la cosa rilevante è il suo personaggio e l’importanza che ha per la sua generazione: quando canta e balla Lorde è trasparente, sincera, eccessiva e umana, è la rappresentazione teatrale di sentimenti positivi in un unico flusso musicale che comunica, abbraccia e conforta il suo pubblico di coetanei. Lorde è la celebrazione del bizzarro riscattato dal talento, un artista perfettamente allineata alla sua generazione che a 16 anni aveva già scritto il loro inno di consapevolezza (Royals) e ora è qui a ballare e divertirsi dicendo cose semplici ed intelligenti, non troppo superiore e abbastanza strana per farsi amare da tutti.
A questo punto diventa difficile salire sul palco e comunicare allo stesso modo. Soprattutto gli Arctic Monkeys sono quel film in bianco e nero sugli Arctic Monkeys in cui Alex Turner li ha trascinati. Non sono più la band scatenata che ha salvato il guitar rock. Quando prendono le chitarre per I Bet You Look Good on The Dancefloor e le altre hit graffianti che li hanno proiettati fuori da Sheffield sembrano divertirsi tutti tranne Alex. Il concerto dei Monkeys è perfetto, teatrale e ben pensato nei suoni e nell’atmosfera retrò morbida e stilosa. Il punto è che rispetto a Lorde che vuole stare lì dove sono i suoi coetanei, Alex Turner sembra voglia andarsene e portarli via anche se loro vogliono solo tornare “back to 505” (505 dall’album Favourite Worst Nightmare è bellissima nella versione dal vivo). Con Lorde ti viene voglia di stare lì a ballare, con i nuovi Arctic Monkeys vuoi andare al bar a bere un cocktail. Sembrano la versione invecchiata di se stessi (anche se hanno 30 anni) ma hanno deciso così e seguono la loro nuova idea estetica con determinazione e cura.
Cinque anni di attesa per uscire con questa trasformazione però sono tanti, soprattutto considerando che nel frattempo nella musica nera si sono alternati mille generi diversi. L’energia e la visione progressiva della musica oggi è tutta lì, è evidente. Per questo il Primavera Sound infatti ha deciso di dedicargli il suo finale. Lo si capisce subito quando A$AP Rocky indossa la tuta di Pretty Flacko e sputa fuoco sul palco, poi scioglie tutto nella nelle basi morbide a 5 hertz del suo suono hip-hop lisergico, annegato nei bassi, sfuocato e avvolgente. Rakim Mayers è puro intrattenimento da Harlem, New York. Tiene il palco da solo, è positivo e coinvolgente, fa una festa pazzesca e tiene tutti incollati alle casse a rimbalzare e a sorridere insieme a lui.
Poi arriva Skepta. Più elegante e più secco, con quel flow serrrato cockney urbano e nervoso, vestito di bianco e con il volto coperto da occhiali e cappellino come in strada a Tottenham, Skepta fa meno spettacolo e più “deliver” dritto in faccia. Annunciato all’ultimo per superare la delusione del forfait dei Migos, Skepta segna un punto a favore del grime londinese sulla trap di Atlanta. L’energia urbana compatta di un flow pericoloso incastrato in una musica cattiva (Le canzoni dell’ultimo album Konnichiwa, tra cui la ghetto-song It Ain’t Safe sono una bomba) è sempre meglio dell’edonismo fine a se stesso che rimbalza sui ritmi lenti.
Il Primavera finisce nel modo migliore con il dream pop dei Beach House, il groove elettronico della space disco norvegese di Lindstrom e quella che il Primavera stesso definisce “una rivendicazione necessaria”, il dj set di Abel Suarez (Dj Coco, resident della Sala 2 dell’Apolo) che sale in consolle sul palco Ray Ban, con l’alba che arriva sul mare, per la festa finale. Una festa che si ripete immancabile ogni anno, e che serve a ricordare a tutti che il Primavera Sound non è altro che la realizzazione del sogno di quattro amici di Barcellona fanatici della musica.