«L’ho sempre preferito a tutti gli altri album, compreso Pepper», ha detto John Lennon a proposito di The Beatles, meglio conosciuto come il White Album. «Il mito di Pepper è più grande, ma la musica del White Album è di gran lunga superiore». Questa musica è in realtà il suono dei Fab Four, la band di “uno per tutti e tutti per uno” che si ritirano ognuno nel proprio angolo: quattro artisti con quattro diverse visioni artistiche, personali e creative. John è l’artista d’avanguardia radicale in piena evoluzione, Paul l’autore di canzoni con qualità sovrumane, George il virtuoso illuminato, Ringo la mascotte che mantiene la pace all’interno della band. Per dirla con Lester Bangs, sono quattro artisti solisti che fanno un album insieme. È l’inizio della fine. A un certo punto, durante le registrazioni, Ringo è così stufo dei litigi e della brutta atmosfera che si è creata in studio che se ne va, lascia i suoi amici e non torna per settimane (quando anche Ringo si mette a fare scenate, vuole dire che la situazione è davvero grave).
Il risultato è la raccolta di pezzi più varia ed estesa che abbiano mai fatto, due LP e 30 canzoni in cui ogni membro della band si esprime al massimo delle proprie potenzialità, proprio mentre la sua capacità di lavorare in gruppo svanisce. Come una coppia che si sta separando e cerca l’aiuto di un consulente matrimoniale, i Beatles cominciano a scrivere il White Album nel febbraio del 1968 mentre sono in India a Rishikesh a studiare meditazione trascendentale con Maharishi Mahesh Yogi. La ricerca di pace interiore non funziona come previsto. Ringo Starr se ne va dopo 10 giorni perché non gli piace il cibo e sente la mancanza dei suoi figli, McCartney rimane un po’ più a lungo e cerca di trarre il massimo dall’esperienza, Lennon e George Harrison si fermano fino alla fine, ma poi abbandonano Maharishi, delusi dal suo essere troppo interessato ai soldi e dalle sue eccessive attenzioni nei confronti delle sue seguaci femmine.
I Beatles non trovano l’illuminazione che stanno cercando, ma almeno l’esperienza serve a liberare l’ispirazione e a scrivere canzoni nuove, molte delle quali composte tra una seduta di meditazione e l’altra con il contributo di altri partecipanti al ritiro di Rishikesh: «Io, Paul, John e George avevamo sempre con noi una chitarra acustica», ricorda Donovan, che insegna a John la tecnica fingerpicking («Era uno che imparava in fretta»), usata per creare una ballad dedicata a sua madre e intitolata Julia. Anche Mike Love dei Beach Boys è a Rishikesh. Paul McCartney gli fa sentire un pezzo su cui sta lavorando ispirato a Back in the U.S.A. di Chuck Berry (intitolato Back in the U.S.S.R.) e Love gli suggerisce di inserire una parte centrale ispirata a California Girls dei Beach Boys per celebrare la magica bellezza delle ragazze slave. McCartney accetta il consiglio. Tra gli allievi dei Maharishi c’è anche Mia Farrow, al tempo 23enne, con sua sorella Prudence di 20 anni, che si lascia prendere così tanto dalla meditazione da rimanere chiusa per settimane nel suo alloggio, senza mai uscire: «Sembrava che stesse cercando di raggiungere Dio prima degli altri», dice scherzando John Lennon, che compone una melodia con la chitarra e un testo che dice: “Dear Prudence, vieni fuori a giocare?”. Colpiti da una lezione del Maharishi sul rapporto tra uomo e natura, McCartney e Lennon scrivono rispettivamente Mother Nature’s Son e Child of Nature (che Lennon riscrive trasformandola in Jealous Guy, che rimane inedita). Un momento di grande creatività, che provoca ulteriori tensioni nella band: «Non siamo qui per fare il nostro prossimo album», dice Harrison esasperato a McCartney, «siamo qui per meditare!».
Il lavoro vero e proprio comincia a maggio, quando tutti i Beatles sono tornati dall’India e si riuniscono a Kinfauns, il cottage di campagna di Harrison fuori Londra, un’oasi di pace lontano dallo stress della città. Tutti hanno composto qualcosa di nuovo, Lennon e McCartney si presentano addirittura con alcuni demo che hanno registrato da soli, accendono il registratore Ampex a quattro tracce di Harrison e cominciano a provare versioni acustiche di tutte le canzoni, una dopo l’altra. Mai prima d’ora hanno avuto così tanto materiale su cui lavorare: messi insieme, i Kinfauns Demo sono la registrazione inedita più ricca nella carriera dei Beatles e probabilmente la più grande session unplugged nella storia della musica pop. La situazione a Kinfauns è allegra e rilassata, come una serata al pub tra amici, in netto contrasto con le liti che cominceranno a scoppiare in seguito. Nelle registrazioni si sentono i Beatles ridere, scherzare e urlare.
«Non siamo qui per fare il nostro prossimo album. Siamo qui per meditare», dice infastidito George Harrison a Paul McCartney, durante il loro soggiorno in India. È la primavera del 1968
La versione di Revolution, che George Harrison ha sempre detto essere la sua preferita, è piena di falsetti stupidi, con una parte in mezzo in stile scat jazz senza testo e solo i battiti delle mani e un tamburello come base ritmica. Ob-La-Di, Ob-La-Da cantata da McCartney con un effetto riverbero in stile vagamente giamaicano, sembra una delle prime produzioni di Lee Scratch Perry. Alla fine di Dear Prudence, Lennon aggiunge una coda parlata sopra la sua chitarra: «Non potevamo sapere che sarebbe andata fuori di testa in quel modo sotto l’influenza di Maharishi Mahesh Yogi. Eravamo tutti preoccupati per lei, perché stava impazzendo, quindi le abbiamo cantato una canzone».
Diciannove pezzi nati a Kinfauns vengono registrati per il White Album. Tra quelli che vengono esclusi ci sono Mean Mr.Mustard e Polythene Pam di John Lennon, che finiranno nel medley che chiude Abbey Road. Junk viene riciclata per il debutto solista di McCartney, Circles e Not Guilty compaiono nei dischi solisti di George Harrison e Sour Milk Sea viene registrata da un vecchio amico di Liverpool, Jackie Lomax, ed escono tra i primi singoli pubblicati dalla nuova etichetta dei Beatles, Apple Records.
Quando i Beatles entrano in studio ad Abbey Road il 30 maggio, le canzoni sono l’ultimo dei problemi. La questione è come registrarle. Due settimane prima, Lennon ha consumato fisicamente e artisticamente la sua relazione con Yoko Ono con un esperimento sonoro a casa sua durato tutta la notte che uscirà sul primo album solista della coppia, Two Virgins. Le idee estreme che Lennon sta esplorando con Yoko (rumori elettronici, grida, effetti sonori, collage di nastri e frammenti parlati) entrano anche nella registrazione di Revolution con i Beatles. La canzone diventa lunga 10 minuti, il doppio del demo originale, con una serie di effetti e loop messi sopra alla lunga coda finale. Lennon insiste per registrare la sua voce con tanti set-up diversi e, a un certo punto, canta sdraiato sulla schiena con il microfono che gli pende sulla bocca. La cosa più strana è che Yoko Ono arriva in studio il secondo giorno di registrazione e rimane letteralmente al fianco di John Lennon per tutto il resto del tempo. Mentre la band registra le canzoni, Yoko registra su una cassetta le sue impressioni: «Mi sento la persona più insicura del mondo in questo momento», dice a un certo punto durante gli innumerevoli take di Revolution. Sente chiaramente di essere in una posizione scomoda. Ciononostante comincia a dire la sua anche sulle canzoni che i Beatles stanno creando e addirittura partecipa ai cori di The Continuing Story of Bungalow Bill. È la prima donna a cantare in un disco dei Beatles, l’unica che ha mai potuto entrare nello spazio sacro del loro studio di registrazione. Agli altri l’arrangiamento non piace, e nemmeno ai tecnici. Lennon va in paranoia e diventa intrattabile, avverte il malcontento, ma vuole a tutti i costi che Yoko rimanga in studio con lui. L’atmosfera si fa «velenosa», come ha raccontato poi Geoff Emerick.
È lui il capro espiatorio principale dell’insoddisfazione di Lennon, fino al giorno in cui, dopo sei settimane di lavoro, decide di abbandonare il progetto. I Beatles non hanno mai fatto così fatica a registrare un album. Canzoni che potrebbero essere chiuse in poco tempo diventano interminabili, persino per fare il semplicissimo pezzo reggae di McCartney Ob-La-Di, Ob-La-Da ci vogliono 40 ore di lavoro. I quattro Beatles ora lavorano spesso separatamente nei tre studi di Abbey Road, usando gli altri (o a volte addirittura i tecnici) come turnisti. Lennon registra Revolution 9 praticamente da solo, con il contributo di Yoko Ono e dei tecnici di studio. Prende la jam session che c’è alla fine di Revolution (che considera non necessaria) e la usa come base per fare un collage: aziona diversi riproduttori di nastri e li fa andare al contrario, crea dei loop di varie lunghezze, li stende aiutandosi con delle matite che gli porgono gli assistenti e poi li unisce, attaccandoli l’uno all’altro. Un lavoro che finisce l’11 giugno, lo stesso giorno in cui McCartney registra Blackbird con George Martin nello Studio 2. A un certo punto, vanno anche fuori in strada per registrare il cinguettio degli uccellini sugli alberi.
George Harrison, nel frattempo, non è soddisfatto dei numerosi take di While My Guitar Gently Weeps. «Paul e John non la prendevano sul serio», ha raccontato. Poi un giorno: «Ero in macchina con Eric Clapton e gli ho detto: “Hai da fare? Vuoi venire in studio e suonare per me?”». Clapton è senza parole. Nessuno ha mai suonato in un disco dei Beatles oltre ai Beatles. Alla fine accetta e finché c’è lui in studio la band si comporta benissimo: «Portare tra noi una persona esterna ci ha fatto calmare all’istante», ha detto Harrison. Il 14 ottobre Harrison sovraincide la chitarra di Savoy Truffle, l’ultimo pezzo delle session e poi parte per Los Angeles per produrre un disco di Jackie Lomax. Ringo Starr, invece, è già in vacanza in Sardegna. Gli ultimi tagli e la scelta della sequenza dei pezzi sull’album sono compito di Lennon e McCartney, che in sole 24 ore, dalle cinque del pomeriggio del 16 ottobre alle cinque del pomeriggio del 17 ottobre, raccolgono tutto il materiale in un disco doppio.
Appena un mese dopo, il White Album è nei negozi, va al n.1 in Inghilterra e in America e vince 19 dischi di platino solo negli Stati Uniti. Charles Manson e i suoi seguaci lo ascoltano parecchio. «Credo sia un ottimo album», ha detto McCartney, «ma non è stato piacevole da realizzare. La dimostrazione che queste cose fanno bene all’arte».