Mentre noi stavamo a farci le pippe sulla scaletta perfetta, i Queens of the Stone Age hanno avuto tutto il tempo di arrivare in Italia e godersela un po’. A testimoniarlo ci sono numerose foto e un video pubblicati via Instagram al mattino presto – prima di ragù e mortazza per intenderci – tra le due Torri di Bologna e Piazza Maggiore. Il turista di turno è Troy, polistrumentista ex A perfect circle dal ciuffo bianco, la Paola Marella del gruppo? Decisamente no. Il batterista Jon Theodore si dà invece alle mini salsicce e all’ironia da social network, insomma i ragazzi si divertivano già da svariate ore. Molto bene, le basi per passare una gran bella serata all’Unipol Arena c’erano tutte.
La prima tappa della parentesi europea della tournée a supporto di Villains, disco pubblicato il 25 agosto scorso, si è aperta un po’ a sorpresa con un pezzo dal precedente …Like Clockwork (2013) cui i ragazzi decideranno di dedicare gran parte della scaletta bolognese. Gli piaceva suonarlo dal vivo e probabilmente gli piace ancora molto, la doppia infilata di I Sat by the Ocean e Smooth Sailing tra due pezzi del nuovo album lo dimostrano. Così come la scelta di suonare My God Is the Sun, come un mantra, prima di introdurre i pezzi del nuovo album. Si parte dal giro di synth di Feet Don’t Fail Me e dal singolo di lancio The Way You Used to Do. Sembra quasi che, grazie alla produzione di Mark Ronson, Josh Homme abbia finalmente trovato una scusa valida per palesare la sua passione per il ballo. E l’Arena lo segue.
Ci si muove anche durante i classici di Songs for the Deaf o del disco omonimo del ’98, certo, dal riff di Mexicola a quello super riconoscibile di No One Knows, pezzo con tutte le carte in regole per diventare il prossimo inno dei mondiali in barba ai White Stripes e a Jack White.
Ma l’intera setlist, ripresa dalla precedente data al Madison Square Garden di New York, sembrava dire “Qual è il problema? Siamo qui per suonare, ballare e fare un gran casino, divertiamoci. I suoni sono imprecisi? Chissene, pesteremo ancora più forte e vi faremo godere comunque”. E così dall’attacco di If I Had a Tail al gran finale con assoli grohliani di A Song for the Dead.
Insomma la musica è cambiata, ma le chitarre tirano ancora più di un carro buoi. E Josh Homme è rimasto il solito spaccone da palco, quello che si fa insegnare le parolacce in italiano per fare gli onori di casa. E lo fa malgrado le ansie e le paure che trasudano dai testi molto personali, spesso autobiografici, del nuovo disco. Ma l’incalzare del “non c’è tempo da perdere! Godiamoci ogni momento come se fosse l’ultimo” che arriva da Villains è tangibile anche dal vivo, attraverso i discorsi che Homme fa tra un brano e l’altro per provare a lasciarsi alle spalle le cicatrici che lo legano al passato e all’altra sua band: gli Eagles of Death Metal. E anche se il frontman dei QotSA non perde occasione per fare il bullo o attaccar briga con chi tra il pubblico gli mostra il dito medio, ricordandogli che «sono quello che vorresti essere tu, solo di più», il suo obiettivo resta quello di ricordare a tutti quanti il galateo da rispettare ai suoi concerti, l’abc: «siamo qui per bere, ballare e scopare. Non fatevi del male, amatevi».