Il film che accompagnava l’uscita di Lemonade, sesto disco di Beyoncé Knowles da solista dopo i cinque con le Destiny’s Child, è emozionante, ricco e visionario. Il video-album Beyoncé, in cui ogni pezzo era accompagnato da un corto ad hoc, era altrettanto emozionante, ricco e visionario. Prima ancora c’era stato Life Is But a Dream, il documentario scritto, diretto e interpretato da Beyoncé su Beyoncé. Emozionate sicuro, ricco insomma, visionario non direi. Ma era esattamente il sogno bagnato di ogni fan di Queen Bey.
Uscito nel 2013 per HBO, Life Is But a Dream racconta circa un anno della vita di Beyoncé attraverso il backstage del tour e del disco 4 del 2011 (quello di Run the World (Girls)), un’intervista seduta ma soprattutto attraverso i video girati dal suo portatile in cui racconta il momento in cui scopre di essere incinta, sviscera le sue aspirazione artistiche e nomina un sacco di volte Dio – mai invano.
Essendo riuscita negli anni a tenere le distanze dalla TV-realtà dal gossip, tanto da costringere i tabloid a trovare riscontri nella realtà delle sue canzoni pure di fare un paio di titoli sensazionalistici (davvero una persona che ha venduto il suo matrimonio come uscito da uno spot Barilla spiattellerebbe un tradimento in un album?), Life Is But a Dream è un documento stupefacente per rispondere a domande come ‘Ma Beyoncé è un essere umano?’.
Lei dice chiaramente di esserlo, in uno di quei video girati dal suo laptop in camera da letto come una YouTuber qualunque, fornendo qualche prova. Racconta ad esempio di quando a avuto un aborto spontaneo prima di restare incinta di Blue Ivy – e nel documentario vedremo praticamente tutta la gravidanza, saltiamo giusto il parto e il concepimento. E poi c’è la sua battaglia interiore su quanto sia il caso di dimostrare di essere umana, quando mostrare della sua vita privata, «Come faccio a mantenere la mia umiltà e il mio spirito? Come faccio a continuare ad essere generosa con i miei fan e la mia arte? Come posso restare vigile, ma anche spirituale?». La soluzione è il trattamento che ha questo documentario, lo stesso applicato ai suoi social e alle incursioni della vita privata nella sua produzione artistica – vedi l’uso del video del matrimonio con Jay Z per il brano Sandcastle dell’ultimo disco, oppure i video di lei bambina montati per il singolo in collaborazione con Pepsi Grown Woman: assecondare la pretesa (o necessità, dipende dai punti di vista) dei fan di vedere i retroscena prendendo il controllo della propria rappresentazione. Un documentario diretto dal soggetto documentato è un paradosso, ma Bey può.
Oggi in seconda serata il documentario andrà in onda su Canale 5 in un ciclo di doc musicali che comprendono anche il BBC Electric Proms 2007 di Paul McCartney, Dance Again su Jennifer Lopez e il live a Londra di Adele registrato da BBC.
[Ricordo solo un episodio in cui ho visto Beyoncé mostrata in modo “fallibile”: era il backstage girato da MTV del video Work It Out, brano del 2002 nella colonna sonora di Austin Powers . A fine riprese, dice visibilmente stanca «Vorrei solo essere a casa a mangiare gelato con i biscotti, ma non posso» e si indica la pancia. I feel you, B.]