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Radiohead meno meno meno

Il concerto più atteso del Primavera Sound 2016 non ha deluso, ma ci ha annoiato un po'
L'ultimo concerto della band in Italia risale al 2012. Foto: Eric Pamies/Primavera Sound

L'ultimo concerto della band in Italia risale al 2012. Foto: Eric Pamies/Primavera Sound

Tutti aspettiamo i Radiohead in questo Primavera Sound, evento nell’evento: un brand – quello di Yorke e soci – che se la gioca alla pari con i big dell’industria che danno il loro nome ai palchi, H&M, Heineken o adidas. E i brand, Radiohead compresi, a sto giro ce l’hanno fatta: siamo tutti (e siamo tantissimi) vestiti uguali, un’unica divisa global, con minime sfumature: jeans, sneakers, maglietta identitaria (molti Bowie sul petto, naturalmente), occhiali da sole, giubbino jeans. Pazzesco, migliaia di persone così, tranne Thom che – dai mormorii rubati a due stylist giapponesi sotto palco – pare fosse total Gucci (magari questa di Gucci è una panzana, però era elegantissimo lui).

Inizia il concerto con in successione Burn The Witch e Daydreaming, i due primi singoli del nuovo album e subito c’è qualcosa di strano: il volume è basso, molto più basso del precedente concerto sullo stesso palco delle Savages (fichissimo tra l’altro) o sul palco opposto di Beirut (fuori tempo massimo sta fanfara indie). Si sente poco, ma nessuno si lamenta, anzi due inglesine davanti a me che se la ridevano per altre cose vengono subito zittite: abbiate rispetto ragazze, i Radiohead cazzo! E sarà il silenzio di tutti, sarà la voce del cantante – che arriva nei nostri stomaci/cuori come avesse il bluetooth, pure senza amplificazione (chi recentemente aveva detto che Thom Yorke aveva perso la voce mi sa che si dovrà ricredere) – ma nell’aria c’è Emozione: una ragazzetta portoghese scoppia in lacrime appena parte No Surprises, arrivano le due inglesine preoccupate, una la abbraccia e mentre la portoghese scappa via, una delle due inglesi dice all’altra: “Piangeva ma non era triste, piangeva di felicità, incredibile, hai capito?, non stava male”.

I Radiohead al Primavera Sound, foto di Eric Pamies

Ecco, e ora? Chi glielo dice alla ragazzetta portoghese che insomma ci aspettavamo di più da questo live perché anche se la cerimonia è bella, se il suono di Greenwood è il pop perfetto applicato al contemporaneo, se fanno pure Karma Police con brividini annessi (l’avevano già suonata a Parigi, quindi è solo una mezza sorpresa), alla fine la loro consapevolezza ci ha un po’ annoiato, quasi che la loro implicita pretesa di parlare a un pubblico “preparato” (e quello del Primavera lo è) avesse trasformato il concerto in un selfie collettivo da mettere sui social con su scritto “Bacioni da Barcellona”.

A mezz’ora dalla fine – stanno suonando Idioteque, i visual sono al solito super cool – le due inglesi chiedono in giro “hai qualche droga? Hai qualcosa?”. Non ricevono risposta e se ne vanno stizzite, un loro “It’s boring (che noia)” detto ad alta voce rompe il velo di Maya e frantuma gli intarsiatissimi beat del gruppo. Già, qui non si tratta di capire criticamente se i Radiohead fanno belle canzoni, buona musica, eccetera, perché questo lo sappiamo, partono da un voto alto (almeno un 8) ma dal vivo sembra non vogliano sbagliare, prendendo strade che portino le nostre emozioni in un posto diverso. Sono sicuro che tutti quelli che stavano ieri sera sotto il palco hanno nel loro stomaco/cuore un cassettino emotivo la cui password è un loop dei Radiohead. Ecco, loro che sono maestri di hackeraggio cultural pop, dovrebbero provare a scassinare questo nostro (in)box, almeno manomettendo i codici.

Forse gli stiamo chiedendo troppo? Dovremmo accontentarci di un buono show benché un po’ freddo (o era cool? boh)? Eh no, ci sono altri dieci palchi a distanza di pochi metri uno dall’altro. In contemporanea ai Radiohead suonano i Tortosie, i Dinosaur Jr e gli Shellac. È un super festival, un po’ stancante per chi lo vuole seguire davvero, la scelta non manca e le pretese del pubblico devono essere alte, non solo per il prezzo del biglietto. Ci sono un sacco di bancarelle di dischi ma non li compra nessuno, il concerto è l’unico supporto musicale che interessa qui dentro, si può pure sfanculare la discografia sparendo come hanno fatto i Radiohead per l’ultimo album, si può fare il botto su youtube, essere virale su Spotify, ma il concerto rimane l’unico appuntamento non virtuale con chi suona la musica che ascoltiamo. Siamo pronti a stupirci o a essere delusi. Vogliamo fortissimo entrambe le cose. E i Radiohead ieri sera non sono riusciti a fare nessuna delle due. Ci hanno solo accontentato. Lo hanno fatto bene, voto 8. Ma appunto, meno meno meno.

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