Il nostro è un momento storico in cui a un’artista, per emergere, si chiede di produrre “jingle” più che canzoni. L’era in cui la struttura di un disco sembra ridursi a mero assembramento di canzoni senza un’idea narrativa di fondo. La complessità viene inevitabilmente rifuggita al grido di “sticazzi, tanto ti giudicano dai primi dieci secondi del tuo singolo su Spotify”.
Ecco, nonostante tutto questo (o forse proprio grazie a questo), c’è un cantautore romano che è riuscito a crearsi un’identità artistica che va in direzione diametralmente opposta, riuscendo però a confezionare un prodotto che passa tutt’altro che inosservato. Il suo nome è Rhò (Rocco Centrella) ed il motivo della nostra chiacchierata è la pubblicazione del secondo video, Cross, estratto da Neon Desert, il suo nuovo disco pubblicato lo scorso 2 febbraio. Guardando il suo curriculum, spiccano inequivocabilmente sia la partecipazione con un brano alla colonna sonora di Killing Kennedy (Film per la Tv prodotto da Ridley Scott), sia la sua partecipazione allo sviluppo di The Hood (strumento musicale con le sembianze di una felpa futuristica). Quest’ultimo, un progetto che lo ha portato a lavorare fianco a fianco con il team del Georgia Tech che, per intenderci, ha partecipato alla realizzazione dei Google Glass. A questo si aggiungono anche diverse collaborazioni di consulenza musicale per la tv e il cinema (Episodio speciale di The Young Pope, su tutti). Insomma, non il primo che passa, come si dice in gergo.
Nonostante il suo background attiri sicuramente l’attenzione, è però ascoltando il suo disco che si rimane piacevolmente sorpresi dalla semplicità con cui l’artista romano riesce a creare un’infinita gamma di suggestioni. Un’elaborazione e sviluppo del brano che ha un non so che di teatrale e visivo.
Nei tuoi brani si trovano concetti originali e interessanti. Il tuo modo di elaborarli però, non è immediato e mi chiedevo come vivessi la possibilità che chi ti ascolta possa non cogliere. E’ un momento in cui alla musica si chiede semplicità e immediatezza e tu, sembri piacevolmente andare in direzione opposta.
Sicuramente affronto le tematiche in una maniera abbastanza ambigua, girandoci intorno ma rifiutando di usare quelle parole chiave un pò stereotipate che magari paleserebbero meglio la direzione narrativa del brano. Io però, considerandomi più musicista che scrittore, non sono troppo preoccupato che il messaggio possa arrivare all’ascoltatore in una maniera a cui io non avevo necessariamente pensato. Il mio obbiettivo primario è quello di creare una suggestione sonora in grado di indirizzare l’ascoltatore emotivamente nella direzione giusta, a prescindere da quella che possa essere la sua comprensione delle parole del testo.
Ti renderai però conto che nell’epoca del “decido se un artista mi piace dal video su Youtube visto sul telefono”, la tua musica rischia di perdersi una parte dell’utenza.
Secondo me il segreto sta nel creare un buon “balance” tra quello che voglio fare per la mia musica e il saper convivere serenamente con un mercato musicale che in questo momento ha determinate regole. La mia scelta alla fine del video di “Cross” di riassumere tutto il mio disco in pillole di 15 secondi dei vari brani, asseconda la necessità di dare al pubblico un’idea complessiva del disco in pochi minuti. Specie se dopo un video che in termini di lunghezza e velleità artistiche, si prende più di qualche libertà. Bisogna quindi avere l’umiltà di capire in che direzione sta andando la musica e le sue regole, specie se le si vuole infrangere.
Veniamo al video allora. So che è stato girato a Lanzarote. E’ quasi più esperienza sensoriale a 360 gradi che un classico videoclip. Come è nato?
E’ nato da una chiacchierata tra me e il regista del video, Daniele Napolitano. C’è stata questa idea di girare un video all’estero, per diversi motivi. Soprattutto c’era la voglia di creare un immaginario che non fosse avvicinabile all’Italia e in particolar modo a Roma. Sapevamo che il disco sarebbe stato promosso all’estero e sentivamo la necessità di de-italianizzare il prodotto rendendolo più digeribile per un contesto lontano dal nostro. Inoltre, pensando a Cross come brano, volevamo creare qualcosa di dinamico in un mondo atemporale e non geograficamente collocabile. In questo senso Lanzarote ci ha dato grandi possibilità di sperimentazione. Il video poi, grazie alle innovative coreografie di Silvia Marti, segue le vicende di questo personaggio dalle sembianze umane che nonostante un ambiente ostile, riesce a intraprendere questo viaggio che culminerà in un processo di trasformazione che lo porterà ad una nuova dimensione sia fisica che mentale di sé.
Ho visto che hai collaborato con il team che ha lavorato ai Google Glass per la creazione di “The Hood” (una sorta di tuta con il cappuccio che funge da strumento musicale). Volevo sapere di più di quella collaborazione e se quell’accessorio ha davvero cambiato il tuo modo di pensare la tua performance dal vivo.
Casualmente. Il marito di un mio amico americano, fa parte del team del Georgia Tech, e durante un soggiorno in Italia siamo finiti a parlare di un paio di guanti che una sua collega aveva prodotto per un altro artista. Lui voleva sperimentare qualcosa in quella direzione e nel giro di pochissimo tempo ci siamo ritrovati a presentare un progetto che è stato approvato in meno di una settimana. Non ci potevo credere. Sono stato un mese con loro e ho partecipato al progetto dalla fase embrionale, volevano assolutamente che fosse un prodotto “customizzato” sulle mie necessità artistiche. Dal punto di vista della performance poi non è una cosa che uso perchè va in una direzione diversa dal mio attuale concetto di live, ma continuo a lavorare con loro per espanderne ancora di più le possibilità. Chissà, magari in futuro lo userò.
Come presenterai questo disco dal vivo?
Abbiamo la data zero il 23 marzo al Monk di Roma. Saremo io e Stefano Milella, che è un batterista che ha lavorato con me alla produzione di tutto il disco. Sarà, rispetto ai live più teatrali del passato, un qualcosa di più scuro e “club” in cui l’elemento ritmico sarà assolutamente preponderante. Ci saranno visual che sperimenteremo in questa prima sessione di live, che andranno a arricchire il concerto con forme e colori. C’è la volontà di valorizzare quella porta gialla della copertina del disco (Ideata dal grafico Stavros Bilionis), qualcosa di strettamente grafico.
E questa super collaborazione con Ridley Scott come è nata?
Serviva qualcuno che salvasse la serie dal “pacco” dei Sigur Ròs (ride). Erano loro quelli destinati a fare la colonna sonora di Killing Kennedy. Quando però l’accordo con i Sigur Ròs saltò all’improvviso, una persona che sta seguendo il mio progetto e che faceva parte di quella produzione, si sentì di offrirmi come alternativa. Io ho fatto tre brani, due in linea con il brano dei Sigur Ròs e un terzo che andava in tutt’altra direzione. Hanno scelto quest’ultimo, As you hope, e non mi sembrava vero. Ci è voluto un po’ prima che mi convincessi che fosse tutto vero e non lo scherzo di qualche amico.
Ultima cosa. Quale messaggio ti piacerebbe passasse ad un ipotetico ascoltatore che non sa nulla di te e che si ritrova ad ascoltare la tua musica?
E’ un momento in cui in Italia la musica indipendente è stata formattata secondo logiche proprie di un contesto major, per definizione antitetico al concetto di indie. Questa musica “indie”, o presunta tale, è tutta cantautorale, tutta in italiano, tutta simile anche come scelte concettuali… Mi fa piacere quando la gente apprezza il mio voler continuare il maniera coerente la mia linea narrativa a prescindere da quello che può funzionare o meno in questo preciso momento storico. Il che non vuol dire “non piegarsi alle regole del mercato” che per carità, non mi interessa fare il duro e puro a prescindere. Semplicemente a me piace cantare in inglese, ad esempio, e sono contento di continuare a fare le cose come più mi piacciono.