Difficile pensare che, nel momento di fissare l’ultima tappa del proprio tour in supporto a Carry Fire all’O2 Arena di Londra, quel furbone di Robert Plant non abbia pensato alle varie coincidenze del caso e a ciò che avrebbe potuto scatenare all’interno della comunità zeppeliniana. Cinquant’anni prima, infatti, i Led Zeppelin avevano concluso da poco la loro prima esibizione con il nome che li avrebbe proiettati nell’olimpo del rock, oltre al fatto che, nell’immaginario collettivo, l’O2 Arena resta ancora il luogo in cui la band si esibì per l’ultima volta.
Nonostante Plant passi metà delle sue giornate a spiegare i motivi per i quali non potrebbe vestire mai più i panni del vecchio Percy, va da sé che in molti avevano sperato in una sorpresa. Non che la gente si aspettasse chissà cosa (in platea il nome di Page è quasi un tabù), ma la sensazione è che sarebbe bastato anche solo un brano lontano da tempo dalle setlist per infiammare un palazzetto strabordante di vecchi hippie irriducibili e di focose nuove leve.
Invece nulla, Plant rimane fedele a se stesso e alla proprie idee, difese con le unghie e con i denti contro tutto e tutti. Soprattutto contro offerte economiche tali da risanare il nostro debito pubblico in pochi secondi. Coerenza o follia? Difficile a dirsi, soprattutto quando è vero che vai avanti da decenni a produrre nuovi album, alcuni dei quali molto validi, ma alla fine ti ritrovi comunque a fare i conti con i tuoi demoni, basando più della metà della serata sui tempi che furono. Sì perché è vero che i suoi brani solisti, in particolare quelli dell’ultima fatica, funzionino molto bene dal vivo, ma sarebbe per lo meno ingenuo pensare che le più di ventimila persone accorse a North Greenwich sperassero in una scaletta di soli brani solisti.
Quindi, se una volta il rifiuto e il dolore erano così insostenibili da impedirgli persino di suonare i brani del Dirigibile, oggi Plant rifiuta solo di essere accostato ad improbabili reunion, ma è chiaro a tutti che si diverta a riprendere in mano il proprio passato da Dio del Rock. Ammicca spesso al pubblico Robert, in particolare a quello femminile, mostrando di non aver perso un briciolo di quella sensualità che aveva contribuito a crearne il mito di indomito seduttore. Plant conferma quanto fatto vedere di recente anche in Italia, mostrandosi in ottima forma fisica e con una voce in grande spolvero, cose che negli anni passati non sempre erano andata di pari passo.
Pur essendo impensabile aspettarsi urla e gesti lascivi da un neo settantenne, non si può che apprezzare la voglia di graffiare ancora su brani come Babe I’m Gonna Leave You o Black Dog, così come è bello godersi il suo iconico timbro vocale sui brani meno irruenti, durante i quali, chiudendo gli occhi, si può davvero immaginare di trovarsi ai tempi di Led Zeppelin III. Nel 1990, sul palco di Knebworth con la sua band di allora, Plant invitò a sorpresa Page per suonare insieme qualche vecchio brano insieme. Tra quelli, trovò spazio Wearing And Tearing, brano proto punk contenuto nel postumo CODA. Quando, durante gli encore, la band ha inserito proprio il riff di quel brano in New World…, in tanti hanno sperato che il vecchio burbero Plant avesse tenuto in serbo per tutta la sera la carta che nessuno si sarebbe mai aspettato. Invece, non era altro che l’ennesimo sberleffo al proprio mito.