Roger Waters e Nick Mason approdano a Roma per presentare l’incredibile mostra Their Mortal Remains, che attraversa l’intera storia dei Pink Floyd, e lo fanno con tutta la magniloquenza del caso. Introdotti da una Virginia Raggi quanto mai inadeguata al contesto, il Genio creativo dei Pink Floyd, come ama modestamente definirsi e il fido batterista, colui che mai l’avrebbe abbandonato all’inizio degli anni ottanta, ai tempi della storica rottura, sì presentano ai presenti in splendida forma, solari e visibilmente emozionati dall’accoglienza.
Al di là della facile retorica del caso, l’Italia ha sempre ricoperto un ruolo di prim’ordine nella carriera del gruppo inglese, amato e collezionato come in pochi altri paesi nel mondo. Il fatto poi che il padre di Roger, insieme a Syd Barrett uno dei fulcri della poesia e delle ossessioni watersiane, sia morto ad Anzio, ha reso il tutto ancora più intenso e carico di quei ricordi che la mostra organizzata dal Victoria & Albert Museum è riuscita splendidamente a racchiudere.
In pochi forse ricordano che l’Italia, e Milano in particolare, era stata scelta addirittura come tappa iniziale di questa avventura, il che rende ancor meno di circostanza la venuta dei due membri fondatori del gruppo di Dark Side Of The Moon. Al di là delle frasi di circostanza, per altro ridotte al minimo anche se costantemente caldeggiate dai giornalisti presenti, Waters e Mason si sono presentati per quello che sono sempre stati: il primo incazzato come ai tempi di The Final Cut e il secondo, mediatore e diplomatico come suo solito, sempre pronto a rispondere cordialmente a chi gli chiedeva di ricordare la tappezzeria del Viper dove la band aveva esordito nel 1968 nel nostro paese.
Roger, lascia volutamente le risposte più canoniche al compagno, tenendo per sé le classiche staffilate socio politiche che l’hanno reso l’icona della lotta perenne contro ogni tipo di dittatura o ingiustizia globale. «Non mi interessa il passato, non voglio vivere imprigionato in questa cosa, in questa mostra. Sono interessato al presente, ho una carriera, ci sono ancora così tante cose da dire e fare. Mi interessate voi e quello che pensate di oggi, non del passato» – sottolinea più volte sotto lo sguardo complice di Mason. «Questo non è il mondo in cui voglio vivere io» – continua Roger col tipico pizzico di retorica che lo contraddistingue, ma così pura da essere impossibile da non amare – «Un mondo fatto di guerre per il petrolio e di idioti».
Poco importa che ai tempi della sua guerra feroce con Gilmour il suo essere così zen si fosse un po’ arenato dietro a ben altri propositi: oggi Waters sembra aver sconfitto molti dei suoi demoni, ma allo stesso tempo la fiamma che potevi vedergli negli occhi è la medesima di quando cantava Two Suns In The Sunset e, a ben vedere, la situazione geopolitica mondiale non è così distante dall’incubo atomico paventato dai Floyd nel lontano ’83.
La conferenza si trasforma così in qualcosa di inatteso, una piccola sorpresa in un evento che avrebbe potuto trasformarsi in un’occasione persa e che invece è stato in grado di emozionare davvero. Detto questo, Their Mortal Remains, visitata in anteprima rispetto all’apertura del prossimo 19 gennaio, è forse meno multimediale di quella che celebrava David Bowie, ma con la quasi totalità degli strumenti utilizzati per ogni album dei Pink Floyd, i maiali volanti, i professori sadici e tutti gli incubi che hanno abitato le loro menti psichedeliche, resta un’esperienza che ogni fan ha il dovere civile e morale di fare.
Certo, dovremmo chiedere ai curatori della mostra cosa ne pensino del fatto che il maggior compositore della band celebrata abbia sostanzialmente dichiarato che di questa celebrazione non se ne faccia nulla, ma, francamente, a noi interessa davvero poco.