Salmo:
“Playlist” traccia per traccia
Con un'Ichnusa in mano il rapper sardo racconta in esclusiva le 13 tracce del suo nuovo album, uscito oggi. Dal featuring (contestato) con Sfera a quello con Fibra, dalla sua prima canzone d'amore agli eterni anni '90
Foto di Stefan Giftthaler per Rolling Stone
Salmo dà una golata a un’Ichnusa non filtrata, prima di schiacciare il play su iTunes con un gesto teatrale. Siamo a Milano negli studi – nuovi di pacca – della Sony, che assieme a Machete Empire Records pubblica Playlist, il disco che segna il ritorno del rapper sardo a oltre due anni e mezzo dal trionfo di Hellvisback. Il quinto album in studio di Salmo – protagonista della nostra copertina di novembre, dove potete trovare una lunga intervista in cui rivela particolari inediti della sua vita e della sua carriera – era molto atteso, anche perché l’uscita è stata preceduta da una serie di clamorose operazioni di marketing, dai video su Pornhub alle esibizioni nei panni di un barbone per le strade di Milano.
A rovinare un po’ i suoi piani un leak del disco, fenomeno tutt’altro che nuovo in epoca di liquidità musicale, che a poco più di 24 ore dalla pubblicazione, avvenuta a mezzanotte, ha fatto circolare via Telegram e WhatsApp le 13 tracce. Poco male, per un numero uno designato delle prossime settimane, capace ogni volta che prende il microfono in mano di fare parlare di sè. Playlist presenta elementi di continuità che faranno piacere ai fan della prima ora e notevoli “prime volte” per l’autore di Russell Crowe. «Si parte fra, dai ascoltiamo», dice Maurizio. Le prime note che arrivano alle orecchie sono già state ampiamente metabolizzate.
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90MIN
«Non è un pezzo schierato, è una fotografia dell’Italia e dell’italiano “medio” di oggi. Che vuole la pistola e parla in dialetto, pensa a scopare e al pallone», esordisce Salmo, mentre, dopo l’intro cinematografico, corrono le rime del singolo estratto poche settimane fa. Un pezzo straordinariamente potente e attuale, quasi – “Yah, questa è l’Italia”, l’attacco del brano – una versione nostrana di This Is America (by Childish Gambino, cui Salmo guarda per il suo ruolo di artista 2.0, che scrive, canta, produce e pensa in autonomia a tutto il lato visuale del proprio lavoro). Anche se Maurizio non lo ammetterà mai – e ha tutto il diritto di rifiutare le etichette -, la traccia, prodotta a Los Angeles insieme a Ron Feemster, con rime come “aprono i ponti e chiudono i porti” diventa un potente manifesto politico in questi tempi di carestia intellettuale. «Se mi sono giocato il singolo su un tema così è perché la situazione là fuori non è granché, e io non riesco a non dire la mia», prosegue, prima di mandare un messaggio ai suoi fan che stimano l’attuale ministro dell’Interno. «Non puoi ascoltare hip hop ed essere un razzista, le due cose sono incompatibili perché questa è una cultura black da sempre. Se dici “grande Salvini” devi bruciare i miei cd, o cambiare le tue cazzo di idee».
STAI ZITTO (FEAT: FABRI FIBRA)
Il cocktail qua prende fuoco, perché l’alchimia tra due i due pezzi grossissimi del rap italiano raggiunge livelli di perfezione. La base è un boom bap anni ’90 – «per me rimane il top in assoluto, non c’è suono su cui mi venga più naturale rappare» -, un classicone che non stanca. I fan non potranno che apprezzare l’attitudine “vecchia scuola” nella scrittura e nelle scelte di voce di Salmo e Fibra – che il più giovane tra i due aveva “citato” nel suo primo lavoro, Mr. Antipatia -, che funzionano talmente bene nei palleggi tra gli incastri da sembrare al terzo disco assieme. «Per me Fibra è un maestro, per il suo stile inconfondibile e le sue punchline». Il testo ancora una volta mette nel mirino le nostre ipocrisie e ha rimandi politici forti, prima di andare a sistemare un po’ di cose per quanto riguarda il rap game tricolore e lanciarsi in un’analisi parecchio a fuoco della scena musicale italiana (che ha già fatto arrabbiare qualcuno). Ne sono protagonisti dei confusissimi “scureggioni della pop music“, «che oggi assistono al trionfo in classifica dei rapperini di cui non conoscono nemmeno il nome. Tutto è cambiato, fra: bisogna stare sempre sul pezzo, adeguarsi. Ed è giusto così».
RICCHI E MORTI + DISPOVERY CHANNEL (FEAT. NITRO)
«Questi pezzi sono come una cosa sola, vanno ascoltati assieme», dice Salmo, e parte il duplice ascolto, in cui presto affiorerà la voce di Nitro, il featuring forse più telefonato di questo album, di certo uno dei più goderecci per la fanbase di Salmo. «L’ho conosciuto a Spit: mi si era liberata una stanza nella casa di Pasteur (quartiere a Nord di Milano, ndr) e gli ho offerto di venirci a vivere, per fare un po’ di musica assieme. Il giorno dopo era lì con le valigie. Nitro mi ha un po’ imbastardito con il suo veneto, e io l’ho fatto con lui con il sardo. Sono davvero fiero di quello che è diventato». I due brani in sequenza sono molto distanti da un punto di vista delle sonorità – con un escalation di bass line, che conducono man mano Playlist in una dimensione di violenza elettronica mai del tutto abbandonata dall’artista dal 2011 in poi -, ma con il filo conduttore del tema “manca mone“, per dirla coi Sangue Misto. È un viaggio a ritroso quello di Salmo, che prima ci racconta di quanto ora fatturi e cavalchi “queste cagne come Sborriello“, parodiando e non poco un trend di temi e linguaggio quasi egemone nel rap attuale. Poi, nella seconda traccia, ripercorre i tempi delle birre all’Eurospin con zero lire in tasca. «Perché io ho fatto il militare brutto con la musica, prima del 2011 e della svolta. Ho dormito sui palchi, sono stato in giro settimane senza lavarmi». Oggi che è fuori dal ghetto, a differenza di tanti colleghi, Maurizio non è tipo da sfoggiare i bling bling per dire “io ce l’ho fatta”. Il distico è una interessante riflessione su valori materiali e immateriali, possesso e ostentazione oggi, su una società e una generazione che è consumista come mai nessuna prima. Poi arriva Nitro, ed è pieno Machete Flow.
CABRIOLET (FEAT. SFERA EBBASTA)
La pietra dello scandalo, che nelle scorse ore ha portato Salmo a trollare i suoi stessi fan su Instragram con la scritta “Oddio quanto sono incoerente” (accompagnata da una foto in cui pare un inquietante mix tra Johnny Cash e Billy Costacurta). Dopo la fuoriuscita del leak non si è parlato d’altro che della collaborazione tra Lebon e il trap boy milanese, che molti tra i fan dell’artista sardo non hanno apprezzato. «Dietro a questo pezzo c’è Rolling Stone, che ai tempi di Mr. Thunder mi avete messo contro Sfera, dicendogli che il pezzo era una presa per il culo nei suoi confronti. Invece io parodiavo in generale la nuova scena trap, e non ce l’ho mai avuta con lui. Quindi mi sono preso una rivincita con voi». “Pensare sia un lavoro, scrivere su Rolling Stone”, è la frase incriminata, che compare nel ritornello. «Fra, è poca roba. Lo sai anche tu che potevo andarci giù più pesante». Fronte nostro nessun problema, anzi la cosa ci ha divertiti. Per Salmo, Sfera, con altri, rappresenta «la punta dell’iceberg della trap, che oggi è una moda: quando si sgonferà, rimarrà chi avrà creato il proprio linguaggio». Nel pezzo Salmo e Sfera – con tendenze un po’ “michieliniesce” a tratti – interpretano se stessi, per non forzare un’unione che a molti appare comunque innaturale. Nel complesso la traccia non risulta indimenticabile, ma qui siamo nel campo delle valutazioni del tutto personali.
HO PAURA DI USCIRE
Ieri sera, quando Salmo ha dato vita a una coreografica anteprima del disco a Milano, il pubblico sapeva già a memoria e cantava all’unisono il testo di questa canzone, rischiando di rovesciarsi nella non proprio limpida acqua dei Navigli. È il bello di avere una fanbase agguerrita e il frutto delle sue sortite pre-release (oltre che del famigerato leak), visto che il pezzo è stato suonato durante l’esibizione da clochard e persino su Pornhub. La canzone – come numerose altre in questo disco – si apre con un’intro evocativa che rimanda alle vecchie pellicole e consueti frusciamenti di vinile, leit motiv di Playlist, per poi virare decisamente sui bpm alti. Il beat è prepotente, le barre (Vengo alla festa poi piscio e ti scrivo il mio nome sul muro del pianto / E mi sveglio col cerchio alla testa, sicuro qualcuno mi avrà fatto santo) sono Salmo-Style come poche altre volte, con il consueto mix di cazzeggio e inquietudine esistenziale che emergono nel trattare i disagi di chi oggi non trova le forze o la voglia di mettere il piede fuori di casa, fino a degenerazioni come quella degli Hikikomori. Ritorna ancora una volta lo sfoggio di un’attitudine street resa credibile da anni di militanza nell’underground. Per lo meno “singolabile”.
SPARARE ALLA LUNA (FEAT. COEZ)
Una canzone che potrebbe essere un film; puro storytelling a cui il rapper ci aveva già abituato, ad esempio, con Don Medellin. Come dimostrano alcuni suoi videoclip-gioiello, Salmo ragiona spesso per immagini, e questo si riverbera in un brano come Sparare alle Luna, nel cui ritornello svetta la voce di Coez, particolarmente a suo agio in questi abiti. «Silvano è un amico. Quando sono arrivato, a Milano me ne stavo sempre solo con la mia cricca di sardi, non frequentavo gli altri del giro rap. Con lui ho legato subito, perché è uno vero. Ogni tanto è capitato anche di fare graffiti assieme». Non sparare alla Luna è un viaggio – in tutti i sensi – in Messico, dove Salmo si immagina infiltrato tra i cartelli del narcotraffico, come uomo della DEA, l’antidroga americana protagonista di fortunatissime serie tv degli ultimi anni. Da Acapulco a Guadalajara, tra vermi del Mescal e carichi di droga, si compie questa mini-epopea in musica in cui rap e cantato garantiscono il win-win. Dateci il video, al più presto.
PXM
Ossia Prega X Me, un pezzo con un’anima rock che Salmo rivendica. «Io amo la musica suonata, ho fatto parte di due band in passato. Tre o quattro anni fa ho deciso di mettere gli strumenti nei miei live, in modo che i ragazzi sotto il palco li vedessero e magari se ne innamorassero. Se su 3mila ne convertissi 10, che magari tornati a casa dicono “voglio imparare a suonare la chitarra”, io sarei contento». In questa traccia particolarmente suonata Salmo ne ha per tutti, a cominciare dai nuovi rapper, “fenomeni in studio che non sanno fare i live”. «Ma ora i soldi stanno lì. Con i dischi di platino, come con la coppa del calcetto, ci puoi al più fare il figo con gli amici». Poi mette nel mirino la “malcapitata” Asia Argento, cui è dedicata una rima destinata a fare discutere: “Se penso ad Asia Argento sono ricco dentro / Perché manco se mi paga glielo ficco dentro“. «Capito, fra? “Ricco dentro – Ficco dentro“. Poesia. Ungaretti, praticamente», dice ridendo. Poi l’uomo che aveva fatto rivoltare tutti i fan di Ariana Grande per una frase considerata indegna in Estate dimmerda spiega meglio. «Mica ce l’ho con Asia Argento, o col MeToo. Sono provocazioni giocate sull’attualità; come i rapper, da Eminem a Fibra, hanno sempre fatto».
IL CIELO NELLA STANZA (FEAT. NSTASIA)
Il featuring che molti hanno fatto fatica a riconoscere, nonostante la fuga di notizie, e il più sorprendente. Mentre altri colleghi si affidano all’effetto wow e al blasone delle collaborazioni con i big della trap d’oltreoceano, Salmo arruola questa voce potente e melodiosa, che vanta progetti assieme a Skrillex e Drake. Grazie a Nstasia la prima canzone d’amore (tradizionale) mai scritta e cantata dal fu King dell’Hardcore acquista spessore e spicca il volo. «Ho 34 anni, fino a poco tempo fa non avrei mai pensato di fare un pezzo del genere. Ci sono arrivato piano piano, così personale, diverso. Ora mi sentivo pronto, e mi sono buttato». D’altra parte se lo ha fatto il pluricitato Fibra – con quel capolavoro che è Stavo pensando a te -, un tentativo si poteva fare. Anzi, probabilmente rappresentava una tappa fondamentale in un percorso artistico che si rispetti. Nelle barre Salmo viene fuori in tutta la sua fragilità – ok, la componente spaccona c’è sempre -: si sta facendo adulto ed è disposto a condividerlo con il suo pubblico. Una delle migliori cose del disco indubbiamente.
TIE’
Salmo alla batteria, una delle sue grandi passioni; Dade, musicista della sua band ed ex membro dei Linea 77, al basso. Uno “stacchetto” di 1 minuto e 31 che non credo abbiate sentito in molti altri dischi hip hop. «Dopo una canzone d’amore sentivo il bisogno di sfogarmi su qualcosa, pestare un po’ duro», racconta.
ORA CHE FAI
«Sto pezzo è una roba un po’ pinuccia, un po’ pinuchosky», dice Salmo, ridendo di gusto, prima di dare un sorso all’Ichnusa. «Ho imparato ‘sta parola (qualcosa di relativamente simile al concetto di hipster in slang, ndr) e adesso la uso spesso». Ora che fai è «uno dei primissimi brani Footwork in Italia, sono parecchio gasato per questa cosa». Il genere, un mix di suoni sincopati che richiama alla drum and bass, è nato a Chicago negli anni ’90 e oggi un’artista come Jlin ne è considerata la paladina. Salmo, così come aveva fatto sei o sette anni fa rappando sulla dubstep – e assicurandosi così il successo -, ci spara sopra le sue rime, proseguendo in un percorso di esplorazione di suoni diversi che in Playlist si fa particolarmente coraggioso, volutamente schizofrenico in alcuni tratti. «Come già si capisce dal titolo, ho voluto mettere nel disco tante cose e tenermi aperte più strade: ognuno ci può trovare quello che vuole da un punto di vista musicale, anche pezzi particolari come questo. Ci sono i classici e cose sperimentali, mischiare funziona sempre».
PERDONAMI
Questa la conoscete a memoria.
LUNEDI’
Il disco si chiude con un pezzo dolente, che non fa nulla per negare di esserlo. Salmo ne racconta la genesi: «Questo è il primo brano che ho scritto in assoluto, un anno e mezzo fa. Era un periodo no, mi guardavo attorno e non capivo più chi fossero i miei amici, chi mi volesse bene davvero. Mi sentivo un po’ come John Travolta nei meme, perso». Le rime fluiscono di botto, poi Salmo le chiude in cassetto e non ci pensa più. Al momento di lavorare all’album, chiede un parere ad alcuni amici, che sono entusiasti della canzone. Così a Lunedì è riservato un posto d’onore in Playlist, quello dell’addio. «Mi sono ispirato a Everybody Dies In Their Nightmares, un pezzo di XXXTentacion, per cui nell’ultimo periodo ero andato davvero in fissa. Aveva una marcia in più, suoni assurdi e sempre nuovi. Quando ho saputo della sua morte pensavo fosse uno scherzo, una di quelle trovate di marketing che poi vengono smentite. Ci sono rimasto davvero di merda». Ora i tempi bui di Lunedì sono archiviati, anzi c’è la gran presura di bene di un disco nuovo. «Risentirla non mi fa più nessun effetto, anche se non è stato semplice mettere le mie difficoltà in piazza così. È un po’ come se tutti avessero visto le mie mutande sporche».