Carlo Conti più sereno e rilassato che mai. I motivi probabilmente sono due. Il primo sono gli ascolti della serata di martedì: 11.374.000 telespettatori di media e media share del 50,40%. Un punto in più dello scorso anno. Il secondo è che probabilmente non ha mai toccato una droga in vita sua. Non possiamo, tuttavia, dimenticarci di chi gli sta a fianco in questa edizione: Maria De Filippi. Con questi presupposti il Festival non si farà mai male, al massimo vi annoierà a morte. Per quanto riguarda la Sanremo Appreciation Society, la serata di ieri è stata percepita in modo ambivalente: qualcuno ha visto più ritmo, varietà, canzoni migliori rispetto a martedì, altri invece hanno subito la scaletta infinita degli ospiti, che non smettevano di arrivare sul palco come imbucati a una festa, quando vorresti solo dichiarare la fine del party.
La seconda serata, in ogni caso, si è aperta con quattro nuove proposte: la S.A.S., come ogni società votata all’avanguardia, ama i giovani ed ecco quindi tutte le nostre considerazioni in merito:
“Le canzoni fanno male” di Marianne Mirage (voto 5)
Marianne Mirage, nome da artista dell’Italo Disco, è figlia di un pittore innamorato del jazz: lo vediamo in una clip con un bel papillon che fa subito dixieland. L’impronta di Francesco Bianconi, autore del testo, è evidentissima, fino alla maniera: “Ci inseguivamo da bambini noi/con le pistole in mano/eravamo due cowboy”. E in effetti le partiture degli archi sono quelli dello spaghetti western e sembra di sentire pure delle nacchere. Comunque sia, Marianne era solo un Mirage: divide la SAS e viene eliminata.
“Universo” di Francesco Guasti (voto 3)
La parola ‘universo’ era già risuonata la prima sera nel brano di Alessio Bernabei, che per la cronaca in questa sede aveva preso 1. Francesco Guasti – che lo scorso anno, eliminato, aveva sfondato la porta dell’albergo con un pugno – torna con un brano rabbioso. Siamo, Progettiamo, Possiamo: insomma parla a nome di un noi che intuiamo tanto generazionale quanto astratto. Quando urla ‘il futuro è di chi se lo prende’ e ‘il mondo comincia adesso’ si avverte l’influenza, ehm, di un certo cantante fiorentino e dei suoi storici sold out alla Leopolda. Guasti da cinque anni non si taglia la barba, indossa un panciotto e un orologio a cipolla da dandy vittoriano in trasferta al DAMS. Nonostante tutto questo, non è stato eliminato.
“Nel mare ci sono i coccodrilli” di Braschi (voto 7+)
Brano ispirato all’omonimo longseller di Fabio Geda (Baldini & Castoldi, 2010). Nel brano sentiamo: 1) un je ne sais quoi che ci ricorda la bella Song for the lovers di Richard Ashcroft 2) una temperie nervosa e romantica nella linea di basso, da post punk italiano 3) e la parola ‘merda’ nel testo, che a Sanremo è un toccasana 4) un testo di una certa complessità 5) una magica eco di stile di molta scuola classica del cantautorato italiano 6) Una citazione da Rimini di De Andrè. Nonostante tutto questo, è stato eliminato.
“Ciò che resta” di Leonardo Lamacchia (voto 3)
Pochette rosa al taschino. Anche nel pezzo di Leonardo torna la parola ‘universo’. Di Ciò che resta a noi resta pochissimo, ma il brano resta in gara. Perdonate il brutto gioco di parole.
“Ora esisti solo tu” di Bianca Atzei (voto 6)
Il pezzo parte notturno e romantico, però cova rabbia, e infatti esplode e la voce diventa grande, incoraggiata dagli archi. “Sarò stupida e testarda, illusa e fragile”, dice Bianca, che però ha carattere, personalità e un pezzo arrangiato com’è raro sentirne da queste parti. “Da quando stiamo insieme non esiste più una nuvola”: e qui il testo rivela la sua firma, cioè quella di Kekko dei Modà.
“Spostato di un secondo” di Marco Masini (voto 5/6)
C’era grande attesa nella comunità della Sanremo Appreciation Society per il brano di Masini. Davvero tanta e sincera attesa. Peccato che tutti, o quasi tutti, siano rimasti un po’ delusi. Eppure quel What if, quella domanda messa a fuoco nei versi “E adesso vorrei sapere/Come sarebbe il mondo/Se tutto quanto fosse/Spostato di un secondo” ha una sua cogenza e una sua attualità nel dibattito delle idee. Forse Masini dovrebbe scriverla su un foglietto e spedirla a un fisico del CERN o a uno come J.J. Abrams.
“Do retta a te” di Nesli e Alice Paba (voto 4)
Sarà pure nata da un colpo di fulmine Do retta a te, come dichiarato dalla coppia, ma noi proprio non ce ne siamo innamorati.
“Con te” di Sergio Sylvestre (voto 6)
Brano scritto da Giorgia. Il testo ci risulta un po’ impalpabile, così come un po’ tutto il brano, a dispetto della presenza scenica davvero notevole e unica di Sergio che – come gli sarà già stato detto mille volte, fino alla persecuzione – è una specie di reincarnazione del corpo e del volto (e della bonomia e carisma) di Barry White. E qui si verifica uno strano fenomeno. Il voto espresso in numeri si deforma, è un morphing, e diventa una lunga sfilza di emoji a forma di cuori rossi.
“La prima stella” di Gigi D’Alessio (voto 6+)
I pregiudizi volano alti sul pezzo di Gigi, è chiaro: arrivato al festival in ogni veste – anche in duo con Loredana Bertè, ricordate?– sembra qua confondere le idee a molti e anche per una parte della spregiudicatissima SAS non è semplice esprimersi. Non è un pezzo contro la fecondazione eterologa, questo, né sull’Isis, ma un tipico pezzo a là D’Alessio, una lettera d’amore in cui il nostro parla con la madre che non c’è più e le racconta cos’è il nostro tempo. Certo, si può sempre dire che avrebbe potuto raccontarlo meglio ma il pezzo, scritto da uno che si è votato al baglionismo fin dagli esordi, è supermelodico e ipersanremese, in odor di Renato Zero.
“Il diario degli errori” di Michele Bravi (voto 7)
Tutti d’accordo sulla giovanissima ma pressoché impeccabile esibizione del piccolo Bravi, che somiglia tanto a Nancy Wheeler di Stranger Things. Ha grande controllo della voce, è matematico nel cantato e molto dolce: per qualcuno non scalda mai, è bimbo, lineare, piatto nell’esecuzione, per altri è l’emozione non prevista di questa serata. Peccato per il testo non ispirato a Ennio Flaiano, come il titolo ci aveva fatto sperare.
“Fatti bella per te” di Paola Turci (voto 6,5)
Anche qua del cattocomunismo stile Mannoia, ma in chiave rock vecchiotta, nonostante la bella interpretazione e presenza, che abbiamo trovato quasi tutti quasi impeccabile. Peccato davvero per il pezzo vuoto, freddo, che non cresce mai, non regala nessuno slancio, nessuna magia.
“Occidentalis karma” di Francesco Gabbani (voto 4)
Gabbani balla, è uno spettacolo imbarazzante, inglorioso, prototipico di tutto ciò che la SAS di base odia e che alla fine, per vie magiche, psichedeliche, si ritrova a rivoltare, apprezzare con gusto del paradosso. A un certo punto un ballerino in costume da gorilla sale sul palco, qualcuno inizia a scrivere che probabilmente il pezzo vincerà, col suo mood un po’ Battiato ma brutto, come è logico che sia, e la pretesa messa giù giocosamente di dirci qualcosa di serio su nuove spiritualità e religione, ma niente sostanza, nessunissima, parole a caso, balletti a caso: horror.
“Mani nelle mani” di Michele Zarrillo (voto 5,5)
Rieccoci ancora una volta di fronte al responsabile di migliaia di rose blu tatuate sui seni di migliaia di italiane. Reduce da un infarto che tre anni fa lo ha visto salvo per miracolo, ci riporta nel suo mondo inevitabilmente molto 90s ma con echi 80s un po’ alla Tu di Umberto Tozzi. Cosa ci vediamo? Principessa di Masini perché lui è il nostro pensiero fisso.
“Nessun posto è casa mia” di Chiara (voto 5,5)
Un pezzo evanescente, ci scappa via, quasi neppure riusciamo a esprimerci in merito tanto appare aereo arrivati a questo punto. La musica è buona, con un paio di curiosi passaggi non prevedibilissimi ma classici, che tengono il tiro del brano, il testo invece non va. Eleganza? Ma senz’altro.
“Togliamoci la voglia” di Raige & Giulia Luzi (voto 4,5)
Divide molto: qualcuno inorridisce, altri si cullano nel basso alla Cure che quelli del primo gruppo neppure riescono a sentire. La lucidità a questo punto è un lontanissimo ricordo e i voti sono una sorta di media imponderabile tra il 7 e il 2. Mentre il duo che si dichiara fuori dagli schemi prova a farci sentire dove può arrivare, la maggior parte della SAS vorrebbe toccare il letto per incontrare Morfeo.
Cosa ci è piaciuto
Salvatore Nicotra detto Turi, il dipendente pubblico di Catania stakanovista (40 anni di lavoro e nemmeno un giorno di assenza): ci piace mentre lascia il palco e, fuori copione, si gira verso Maria De Filippi e le dice: “Ci sentiamo”. Quella frase buca il neorealismo kitsch della solita messa in scena RAI.
Cosa non ci è piaciuto
Il momento di ecumenica retorica stakanovista lavorista costruito ai danni dell’incolpevole Salvatore Nicotra, detto Turi. Certi autori di Sanremo sono peggio dei peggiori assenteisti del catasto di Messina. Il trio post-Gigi Proietti, in smoking, formato da Cirilli, Insinna e Brignano (allievo di Proietti) che sale sul palco verso fine serata, quando tutti eravamo già in pigiama e il festival ancora tentava pretenziosamente di stilizzarci di fronte il profilo della nazione. “Sono arrivati i romani!”, urlano i tre, per poi lanciarsi in balletti e canzoni in mood buscaglionesco o forse rat pack alla vaccinara. No. Calma. Stavamo quasi dormendo. Per queste cose serve tempra. Non è il momento. Andate via. Ci rivediamo domani.
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“Ma il suicidio di Tenco viene da lontano. Viene da quella maledetta miscela di Pronox e whisky che prendeva da anni. Il Pronox con il tempo era stato sostituito da altre sostanze, più forti e deleterie che purtroppo erano molto usate in ambito artistico”
Da Questa sera canto io. Splendori, miserie, passioni, tradimenti, segreti e trasgressioni in 50 anni di canzone italiana, Adriano Aragozzini, La nave di Teseo, 2017.