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Se sei gay canta come ti pare

Se non provi sentimento non lo puoi esprimere nella tua arte, senza esperienza diretta non c’è immedesimazione? Povero Stanislavskij, si starà rigirando nella tomba.

Ha suscitato la mia curiosità, la mia sorpresa e il mio disappunto, nell’ordine, l’articolo del 12 gennaio 2018 a firma Tiziano Zarantonello, intitolato “Sei gay non cantare etero”. La mia curiosità era nata dal fatto che sono un cantante lirico e insegno in Conservatorio l’interpretazione musicale ad altri cantanti lirici. Pensavo di trovare una qualche idea interessante sulla difficoltà di esprimere temi difficili e distanti dalla propria esperienza di vita. Insomma, mi sono chiesto cosa dirà l’articolista sul problema, per esempio, di essere gay e interpretare una canzone d’amore eterosessuale che possa introdurre un’analisi del mestiere del cantante professionista. Ed ecco la mia sorpresa.

Il sentimento amoroso che canta un gay non può essere quello di un eterosessuale, quindi c’è una qualche “truffa” nel essere innamorato di un uomo nella vita e cantare di amare una donna nella canzone. O viceversa. Insomma, in pratica se non lo provi un sentimento non lo puoi esprimere nella tua arte, senza esperienza diretta non c’è immedesimazione.
Povero Stanislavskij, si starà rigirando nella tomba. La verità che gli artisti del palcoscenico conoscono bene è che in quanto esseri umani siamo tutti in grado di provare ogni tipo di sentimento, anche solo immaginandolo.

Infatti, con una certa iniziale ironia, ho immaginato le povere mie colleghe che hanno dovuto interpretare la parte di Violetta nella Traviata senza essersi mai prostituite e poi senza essere morte di tisi. Oppure le amiche che avranno pur avuto una qualche difficoltà a cantare le parti di Tosca o Madama Butterfly senza essersi mai suicidate. Per non parlare di baritoni che per vestire i panni di Onegin dovrebbero prima sparare in duello al proprio miglior amico o di bassi che per la parte di Sparafucile del Rigoletto devono prima fare pratica nello sgozzare fanciulle travestite da ragazzo durante un temporale in Val Padana.

Il passaggio che ha prodotto poi il mio disappunto è stato quando l’articolista ha sentenziato con certezza che gli deriva non si sa da quali dati antropologici, che l’amore non è universale (oddio, non era quello che move il ciel e l’altre stelle, allora?) e che amore tra sessi diversi vuol dire un’altra cosa rispetto a quello tra persone dello stesso sesso. Ecco ci siamo capiti: se Mario dice a Giovanni ti amo, non è la stessa cosa di quando Andrea lo dice a Valeria.

Quindi non si trattava di un articolo sull’interpretazione musicale, la musica insomma non c’entra in nessun modo: è stata un’altra puntata della serie propaganda omofobica in onda sui nostri schermi da secoli. E direi piuttosto banale, mal celata da un taglio tra l’ironico e l’autobiografico. E partendo pure dall’assunto di volere difendere i poveri adolescenti omosessuali che si scoprono e si dichiarano ma poi sarebbero confusi da questa dicotomia tra arte e vita dei grandi artisti del pop e del rock… Il danno e la confusione, vorrei dire all’autore dell’articolo, lo fanno invece queste uscite proprio infelici.

Adesso, sfogatomi, torno a studiare la mia musica. Devo provare l’interpretazione di due grandi e importanti personaggi di Claudio Monteverdi: per Orfeo pensavo domani di sguinzagliare un serpente velenoso in giardino, ma poi ho pensato fosse meglio iniziare partendo per la guerra di Troia per tornare da mia moglie fra vent’anni.

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