Le notizie che dicevano che Serj Tankian non avrebbe più cantato erano decisamente esagerate. Qualche settimana fa tutta la stampa musicale scriveva che il frontman dei System of a Down era interessato solo alla musica strumentale, e c’è qualcuno che è arrivato a riportare il seguente virgolettato: «Vaffanculo alla voce». Quando gli racconto questa storia, ride rumorosamente. «Quella frase viene da un’intervista che ho fatto durante la promozione del film Furious – The Legend of Kolovrat, per cui ho scritto la colonna sonora», mi dice. «Non mi ricordo di aver detto così, ma sono sicuro che durante la proiezione qualcuno mi ha chiesto della mia voce. Gli ho detto: “Vaffanculo alla voce, guarda lo schermo”. La cosa divertente è che ho passato l’ultima settimana a registrare solo parti cantate. E ora cosa scriverete?».
Dopo la nostra intervista Tankian ha registrato una parte (di voce) per un brano dei These Grey Men, il gruppo di John Dolmayan, il batterista dei System of a Down. «Non è vero che non voglio più cantare. Diciamo che al momento sono più concentrato sulle colonne sonore, è quello che mi ispira di più». Solo quest’anno ne ha scritte due: la prima per il documentario dedicato al genocidio armeno Intent to Destroy, la seconda per Furious, un film d’azione – girato in russo – ambientato nel 13esimo secolo. Il setting della pellicola ha permesso a Tankian di scrivere musica sinfonica, piena di cori e chitarre giganti. «Non ho difficoltà a scrivere una canzone rock, l’ho fatto per 25 cazzo di anni. Se ho di fronte la scena giusta per un arrangiamento rock allora scriverò un brano così, altrimenti no».
Nonostante un po’ di fastidio per quello che è successo all’inizio del mese, Tankian ha risposto con gentilezza e candore a tutte le mie domande. «Sono un po’ nervoso ma sto bene», spiega il cantante nella sua casa californiana.
Oggi componi a tempo pieno, vero?
Si, è vero. È fantastico, perché ogni film mi permette di scrivere musica completamente diversa, dipende da cosa ho di fronte. Finisci per comporre in maniera molto più eterogenea di quanto faresti con un album.
Come cambia il tuo metodo di scrittura con la musica per film?
Cerco di carpire più informazioni possibili sul progetto. Leggo la sceneggiatura, parlo con il regista, mi faccio spiegare cos’ha in mente in termini di stile musicale, di strumentazione, di impatto emotivo, cerco di immaginare l’impatto emotivo che vogliono ottenere. Dopo aver parlato con il regista preparo la mia tavolozza di suoni, così da decidere i colori da usare. C’è molta preparazione da fare prima di scrivere, ma se lo fai davvero il lavoro diventa molto più veloce.
Com’è lavorare a Furious – The Legend of Kolovrat? Se non sbaglio è un film d’azione in costume.
Si, girato quasi tutto con il green-screen. Ho lavorato a stretto contatto con il produttore Dzhanik Fayziev, soprattutto su Skype. Mi continuava a chiedere “più chitarre, più chitarre”. Gli ho risposto: “non devi ripetermelo due volte. Vuoi le chitarre? Sono state la mia vita per 25 anni. È facile”. È stato bello lavorare così dopo l’esperienza di Intent to Destroy, con Joe Berlinger. Intent to Destroy è un documentario incredibile sul genocidio armeno. Lavoravo molto vicino a casa, e i miei nonni sono sopravvissuti del genocidio. Il bisogno di affrontare quella storia ha attraversato tutta la mia carriera.
È stato difficile lavorare a un progetto del genere?
Ero molto coinvolto a livello emotivo. Mi ritrovavo da solo in studio, di notte, cercavo di scrivere la musica giusta per scene che mi toglievano il sonno. Joe è un grande regista, ha inserito nel documentario punti di vista molto diversi, anche quelli di un negazionista. È stato orribile guardare quelle scene, sentirlo parlare nel mio studio e musicare le sue parole. Ho spiegato a Joe che mi veniva da vomitare tutti i giorni, non è stato facile.
Ci sono molti suoni interessanti in quella colonna sonora. Come hai ottenuto l’effetto spaventoso di Hanging Village?
Ho usato un sacco di strumenti ibridi, arpeggiatori, sintetizzatori. Volevo che le frequenze basse fossero sempre in movimento, così da lasciare liberi gli strumenti solisti. Su Table Read ci sono un pianoforte e un music box, suonano insieme un arpeggio su cui ho costruito un tema per gli archi. Ho usato quella melodia in molti modi diversi, un po’ come succede con The Promise – un altro film dedicato al genocidio. In quel film appare verso la fine, quando Christian Bale entra nell’hotel e dice che uccideranno gli uomini e manderanno donne e bambine nel deserto. È uno dei momenti più forti del film, dura 15 secondi ma è potentissimo.
Visto che stiamo parlando di The Promise, volevo dirti che quando ho intervistato Chris Cornell a proposito della sua canzone per quel film mi ha detto che aveva chiesto la tua consulenza. Ti ricordi com’è andata?
Eravamo molto amici del produttore Eric Esrailian, gli abbiamo dato alcuni consigli musicali. In realtà io e Chris ci siamo avvicinati molto lavorando a The Promise. Lui ha scritto la title track, io una versione jazz di un classico folk armeno. Quando ho sentito il suo brano mi sono emozionato molto. La cosa più importante del genocidio armeno non è quello che è successo 100 anni fa, ma l’impatto che ha ancora adesso. E Chris è riuscito a fare proprio questo, a collegare le due cose. Gli sono molto grato per questo.
Quando l’ho intervistato diceva spesso di pensare al quadro generale, a quello che succedeva attorno a noi
Sì, lui era così, una persona piena di grazia e di emozioni. Era gentile e coscienzioso. Lui e sua moglie Vicky hanno fondato un’associazione, e ho avuto l’onore di consegnarle un premio da parte di Human Rights Watch. Non ho ancora superato la sua morte, è davvero difficile. Non riesco a capacitarmi di come sia accaduto. Non riesco a capire e non credo che lo farò mai. E questa è la verità.
In realtà non volevo parlartene
Nemmeno io, ma non posso farne a meno.
A parte le colonne sonore stai lavorando ad altra musica?
Ho scritto qualche brano rock, ma non ho ancora deciso che farne. Forse pubblicherò un EP, o qualcosa del genere. Adesso ho una famiglia e sono felice di stare a casa con mio figlio. Quando fai un album con una band sei molto impegnato: ci sono i video, la stampa, i tour, alla fine dedichi a tutto il progetto due anni della tua vita. Non sono sicuro di volerlo fare, almeno in questo momento.
Non devi per forza andare in tour, no? Hai fatto qualche data con i System of a Down, ma è parecchio che non fai concerti da solista.
Sì, almeno non dal 2013. Ormai sono anni che mi dedico completamente alle colonne sonore, e credo che sia la prossima fase della mia carriera. Certo, continuano a dirmi di fare un disco con i System, di lasciar perdere le colonne sonore. Ma io sono un artista, non faccio quello che vuole la gente ma quello che mi sembra giusto.
Ma ci avete provato a fare un disco nuovo?
Sì, ne abbiamo parlato e ci siamo scambiati qualche brano, ma non siamo ancora riusciti a progettare tutto.
Sembra che vi siate divertiti in tour
Questa è la cosa più affascinante. Il pubblico non vede un disco e si convince che ci odiamo tutti, ma la verità è che non siamo mai stati così amici. Almeno questo è quello che penso io. Il tour è stato molto bello, ma fare un disco è diverso: si tratta di mettere insieme quattro teste diverse e a volte non riesci a venirne fuori. Questa è la verità, non so se è una cosa positiva o negativa. Il tour invece è facile, abbiamo un sacco di brani ed è divertente suonarli in giro per il mondo.
Non dev’essere stato bello leggere i titoli che ti attribuivano la frase “Vaffanculo alla voce”, come se volessi lasciare la band
Sono tutti alla ricerca della notizia sensazionale. È una cosa che odio. Se hai intenzione di stampare una cosa del genere non sarebbe meglio mandare una mail per chiedere conferma? Non è etico usare – e senza nessuna verifica – un’intervista tradotta dal russo e scritta cinque mesi fa. Non ho intenzione di smentire una cosa che non ho mai detto, ho altro da fare. Devo scrivere la mia musica (ride).
Scrivi ancora poesie?
Non lo faccio da un po’. Per un periodo ho scritto tutte le notti, avevo un quaderno vicino al letto e scrivevo di tutto. Poi, per un po’ di anni, non l’ho più fatto. Non so spiegare perché. Forse le parole mi sfuggono, o forse è colpa del fatto che leggo molto meno che in passato. Quando hai un figlio hai meno tempo per tutto: ormai sfoglio solo i giornali. E per scrivere hai davvero bisogno di leggere, perché migliora l’armonia tra le parole.
Ecco il mio titolo: “Serj non legge più!”
Si, esatto. Scrivilo, scrivetelo tutti! Ma che cazzo (ride).