Trovarsi agli Abbey Road Studios in compagnia di Mark Lewinsohn, lo storico definitivo in materia di Beatles, è un po’ come visitare le stanze del Vaticano insieme al Papa. Siamo dentro lo Studio 3: è qui che nel settembre del 1962 i Beatles eseguivano il loro primo provino per George Martin, suonando Love Me Do e Please Please Me.
Nella sala c’è ancora il pianoforte con cui hanno registrato, tra le altre, Penny Lane. «Gli Studios erano la loro officina e nel corso degli anni hanno sfruttato ogni angolo: dalla rampa di scale nel retro, al minuscolo ripostiglio a fianco dello Studio 2, dove ammassati uno sopra all’altro, hanno registrato Yer Blues» spiega Lewinsohn. Se ci troviamo tra queste sacre mura è in occasione dell’uscita del doppio album (o triplo vinile) The Art Of McCartney: una raccolta di 34 canzoni che abbracciano l’intera carriera del geniale Beatle, inclusa quella solista, eseguite dai più grandi artisti del nostro tempo.
Tra i nomi ci sono Brian Wilson, Bob Dylan, Willie Nelson, Roger Daltrey, Chrissie Hynde, Barrie Gibb, Alice Cooper, B.B. King, Smokey Robinson e Robert Smith. Per realizzare l’intero progetto ci sono voluti circa sette anni. «È una lettera d’amore a McCartney in cui si dice: grazie» spiega il produttore Ralph Sall nel dvd The Making Of (reperibile nella versione deluxe dove compaiono altre 8 tracce).
È una lettera d’amore a McCartney in cui si dice: grazie
«L’ultima volta che ho controllato, ho contato più di 500 canzoni firmate McCartney e tra queste circa 150 erano successi meravigliosi: a pensarci, è una cifra folle» spiega Lewinsohn, intimando che sono ancora molte le hit lasciate fuori dalla raccolta. C’è da aggiungere che McCartney ha compiuto un altro miracolo: è riuscito a scrollarsi di dosso l’ingombrante identità di Beatle, rimettendosi in gioco con un nuovo gruppo, gli Wings. Tanto per intenderci, ci sono stati periodi in cui in America si vendevano più dischi degli Wings che dei Beatles. The Art of McCartney celebra dunque la sua capacità impareggiabile di creare successi. Non sappiamo ancora cosa ne pensa del progetto Sir Paul (attualmente impegnato con una reissue dell’ultimo New). Forse storcerebbe la bocca nel sentire dire da Alice Cooper nel dvd The Making Of: «Ho sempre pensato che McCartney fosse la musica dei Beatles». Ma sulla forza creativa generata dalla dinamica competitiva Lennon-McCartney, rimandiamo ai meravigliosi tomi di Lewinsohn.
Alice Cooper canta “Eleanor Rigby” per “The Art of McCartney”:
Per ottenere un «vibe fortemente maccartiano», parole del produttore Sall, nella maggior parte dei brani figura la collaudata backing band dei concerti dal vivo di Macca. Le canzoni vengono così liberate con l’urgenza e l’energia di un live show ma allo stesso tempo subiscono l’enorme limite di non potere assumere forme troppo diverse dalle versioni originali. Tranne in alcuni casi: Bob Dylan fa del tutto sua Things We Say Today. «E’ un pezzo scritto nell’idioma folk e ha un testo piuttosto profondo per essere stato concepito da un ragazzino di 21 anni» spiega Lewinsohn. Allo stesso modo i Def Leppard si appropriano di Helen Wheels e i Kiss di Venus & Mars/ Rock Show.
Poi ci sono quelle voci talmente travolgenti che anche con un arrangiamento che gioca sul sicuro, non possono fare a meno di spiccare, vedi Let Em In di Dr. John e Wanderlust di Brian Wilson (che notoriamente deve un esaurimento nervoso ai Beatles quando questi oscuravano la pubblicazione del capolavoro dei Beach Boys Pet Sounds con Revolver).
I Cure cantano “Hello Goodbye” per “The Art of McCartney”:
Che Roger Daltrey dovesse cantare Helter Skelter l’ha invece deciso il produttore: «Ho letto che Paul l’aveva scritta in risposta agli Who i quali dichiaravano in un’intervista di avere realizzato la canzone più rumorosa di sempre”. Mark Lewinsohn, lo storico, sostiene di non avere mai ritrovato la suddetta intervista neanche dopo estese investigazioni; ciononostante la versione di Daltrey di Helter Skelter è piuttosto stellare.
Resta invece il dubbio su come reagiranno i fan di McCartney al progetto: sembra disegnato su misura per chi non ha familiarità con il suo intero catalogo. O forse non sarà che l’inizio di un trend: ora che i grandi standard jazz americani sono stati rivisitati da ogni artista vivente del pianeta, McCartney incluso, si passerà a fare le cover di altri classici, le canzoni dei quattro Beatles. In fin dei conti, anche Sir Paul dal vivo sembra la cover band di se stesso: pro e contro di essere una leggenda vivente.