Siamo stati al concerto di Caribou al Circolo Magnolia | Rolling Stone Italia
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Siamo stati al concerto di Caribou al Circolo Magnolia

La nostra recensione del live dell'artista canadese, sempre più elettronico e sempre più ricercato

La formazione live del progetto di Dan Snaith, alias Caribou. Foto: Miserianera.com

La formazione live del progetto di Dan Snaith, alias Caribou. Foto: Miserianera.com

La fauna dei live di Caribou è sempre eterogenea. Ci puoi trovare le coppiette di innamorati, che quando parte Can’t Do Without You attaccano a limonare furiosamente, i fighetti, che fa sempre un sacco figo ascoltare Caribou e gli zarri, che: «No, è il concerto di Daphni ma con la band. Scialla!» (rassicura uno di questi, parlando al telefono mentre è in fila alle casse). E poi, ovvio, c’è tanta gente a cui la musica di Dan Snaith piace.

Fatto sta che questa biodiversità — merito di una discografia multicolore, dall’IDM e psychedelic rock degli esordi alla direzione più dance di adesso — ha letteralmente riempito il Magnolia. Quindi non c’è poi tanto da stupirsi se stanno già ballando tutti quando i quattro della band entrano in scena con Our Love. Bassi giganti alla Julio Bashmore e bleep acidi alla Erol Alkan. Insomma, qualcosa di sfacciatamente UK nonostante il passaporto canadese.

Caribou. Foto: Miserianera.com

Caribou. Foto: Miserianera.com

Nel complesso la band è anche bella da vedere. I quattro (batteria, chitarra, basso e il nostro ai synth e voce) sono completamente vestiti di abiti bianchi, come degli infermieri di un ospedale psichiatrico. O come pizzaioli, fa notare un ragazzo di fianco a me, uccidendo un po’ la magia del momento.

A un certo punto, dalle prime file spunta persino un iPad a molestare la visione del concerto di chi sta dietro. Ma neanche la miglior tecnologia Made in California può qualcosa contro una secchiata di birra-terra aria che mette fine alla questione, fra gli applausi dei presenti.

Come previsto, il set (con brani soprattutto dagli ultimi due album) alterna momenti di bassa tensione a esplosioni di irruenza quasi shoegaze. Una scelta che Caribou ha preso saggiamente in prestito dai suoi DJ set con l’alias Daphni. E in questo senso, sembra che il side project stia influenzando più del dovuto il progetto Caribou. Non solo nel live ma nelle effettive scelte strutturali degli ultimi album. Ma a giudicare dal risultato, non sembra necessariamente un male.

I giochi si chiudono con la carta “Can’t Do Without You”. Troppo leggera però per fare da gran finale. E infatti, finita la traccia, i quattro escono dal palco, per rientrare qualche secondo più tardi e buttare in mezzo alla mischia “Sun”. Decisamente più arrabbiata. Tanto che sorgono dei dubbi: forse questa stupenda cattiveria finale andava dosata più uniformemente nel set.
O forse sono giri mentali, visto che sono l’unico che non sta limonando.

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