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Smettetela di fare il funerale alla chitarra elettrica

La bancarotta di Gibson non significa che lo strumento non avrà futuro. Anzi, c'è un'intera generazione di donne pronta a raccogliere l'eredità dei guitar heroes del passato.

St. Vincent @ Villa Ada, Rome. Foto Kimberley Ross

I giornali non sono stati gentili con le chitarre. Il crollo verticale delle vendite è il gancio perfetto per un ritratto deprimente, e persino Eric Clapton lo scorso settembre si è detto preoccupato, pensava che il suo strumento fosse davvero sulla via del tramonto. «Forse l’era della chitarra è finita», ha detto ai giornalisti che gli chiedevano dei problemi finanziari di Gibson e Fender.

Poi, come in una di quelle coincidenze profetiche, Gibson annuncia la bancarotta. Il Guardian titola “End of the Guitar”; Marketwatch, un media outlet dedicato al business, chiede se “la storia d’amore con la chitarra” sia finita per sempre.

Beh, non è così. Le vendite sono in aumento in molti mercati diversi da quello americano, e l’industria vive un momento di grande ottimismo. Un report dei ricercatori di IBISWorld dedicato alla manifattura statunitense mostra una crescita costante, con ottime prospettive fino almeno al 2022. Anche oggi, in un momento storico in cui i giovani sono più propensi a venerare pop star e rapper piuttosto che i guitar hero tanto amati dai genitori, non ci sono tante indicazioni sulla fine del regno della sei corde. Anzi, ce ne sono in abbondanza per affermare il contrario.

Il mio sogno è sempre stato di costruire un business di music lifestyle sul modello di quanto fatto da Nike per lo sport. Crescere al di là delle chitarre

La bancarotta di Gibson mostra con chiarezza solo una collezione di passi falsi interni. Non rappresenta lo stato di salute dell’industria, e l’azienda non si fa problemi ad ammetterlo. Gibson ha acquistato la divisione elettronica di Philips nel 2014, ed è lì che si annida il grosso del debito; la soluzione, almeno per il momento, è “liberarsi” della divisione e ristrutturare l’azienda attorno al suo core business, cioè la produzione di strumenti musicali.

«Il mio sogno è sempre stato costruire un business di music lifestyle sul modello di quanto ha fatto Nike per lo sport. Crescere al di là delle chitarre», dice il CEO Henry Juszkiewicz. «Ci abbiamo provato con l’acquisto della divisione di Philips, ma non ha funzionato».

Juszkiewicz aggiunge che la ristrutturazione aziendale permetterà di fare «tabula rasa e concentrare il 100% delle nostre energie nella costruzione di strumenti musicali». Senza distrazioni. E ha senso: stiamo parlando di un’industria che solo nel 2017 ha guadagnato più di 5 miliardi di dollari. Gibson, continua il CEO, pur tenendo gli occhi fissi sull’obiettivo di diventare un marchio lifestyle si muoverà tenendo i pieni ben piantati nella liuteria.

Certo, è vero che la sei corde è in crisi di popolarità, ma ci sono molti lati positivi. Le chitarre elettriche Gibson hanno registrato un aumento delle vendite del 10% nell’ultimo anno, come dimostra proprio la dichiarazione di bancarotta. Gli apocalittici, poi, dimenticano sempre la continua ascesa del mercato acustico, probabilmente pompato da Taylor Swfit e dal ritorno della musica country made in USA. IBISWorld spiega che i guadagni della manifattura sono tornati grossomodo ai livelli pre-recessione. «C’è una crescita molto, molto positiva nel mercato delle chitarre. Dal nostro punto di vista, l’industria non è mai stata così in forma», dice il CEO di Fender Andy Mooney. «Sono tutti concentrati su quello che succede da Gibson, ma è una situazione che non ha niente a che vedere con le chitarre. Anzi, il problema è proprio tutto il resto».

La percezione collettiva della crisi dello strumento è determinata in gran parte dalla crisi dei retail store, praticamente tutti sulla via del fallimento. Guitar Center, probabilmente il negozio di strumenti più riconoscibile degli Stati Uniti, naviga in cattive acque. Il punto è che i giovani chitarristi fanno i primi acquisti su Internet, un trend che attraversa tutte le industrie dell’universo, dalla moda all’editoria. «La vendita al dettaglio è in una crisi darwiniana», spiega Mooney. «Osserviamo grande crescita sulla rete, gli store online fanno passi da gigante». Fender sostiene che il 50% della sua produzione viene distribuita sul web. Robert Miles, uno degli analisti di IBISWorld, spiega che mentre la manifattura cresce, la vendita al dettaglio crolla soffocata da colossi come Amazon.

Le Haim fotografate da Drew Reynolds per Rollingstone.com al Lollapalooza

L’enorme popolarità dell’hip hop non significa automaticamente la scomparsa di tutte le guitar band, o del pubblico pronto ad ascoltarle: i produttori devono trovare acquirenti diversi. Una volta completato il cambio della guardia in classifica e sui palchi dei festival, chi vende chitarre deve capire che non può più contare sulla clientela su cui ha basato il suo business per decenni: i giovani maschi bianchi. E, soprattutto, deve domandarsi: chi abbiamo ignorato per tutto questo tempo?

Quando Fabi Reyna ha fondato She Shreds, un magazine per donne-chitarriste, nessuno nell’industria gli ha dedicato un po’ d’attenzione. Ma ora – con tutti questi guitar heroes sul viale del tramonto – i produttori stanno iniziando a capire che c’è un pubblico enorme che hanno sempre ignorato. Le musiciste, da Lucy Dacus a Soccer Mommy fino a Snail Mail, hanno pubblicato alcuni degli album più interessanti dell’anno. Forse la soluzione è lì, sotto gli occhi di tutti.

«Un anno fa i brand hanno iniziato a capire quello che stava accadendo», spiega Reyna. «Fender e Reverb hanno iniziato a contattarmi, ed è facile capire chi ha la mentalità giusta. Per dire, basta prendere la loro pagina social e vedere dopo quanti minuti di scrolling appare la prima donna». Juszkiewicz aggiunge che quando ha iniziato a lavorare in Gibson, i clienti erano per il 95% maschi. Era il 1986, ora la cifra è scesa di 10 punti percentuali. «Abbiamo molto lavoro da fare».

Dopo aver somministrato un sondaggio in tutto il nord America, Fender ha scoperto che il 50% dei nuovi chitarristi è di sesso femminile. Subito dopo, l’azienda ha iniziato a intercettare le artiste più interessanti della scena e, contemporaneamente, a costruire le sue campagne marketing anche per un pubblico femminile. «Stiamo cercando di conquistare i giovani», dice Mooney. «Abbiamo deciso di innovare il prodotto, abbandonare i nomi del passato e investire in quelli del futuro».

E questi nuovi mercati sono già in piena fioritura. Il magazine di Reyna è cresciuto e ora collabora con molti brand musicali, e progetti come Girls Rock Camp Alliance offrono programmi specifici in tutto il mondo. Anche Fender ha deciso di investire sull’istruzione: la metà delle chitarre che vende è acquistata da chitarristi alle prime armi, e il 90% dei clienti abbandona lo strumento dopo solo un anno. Il restante 10%, invece, è disponibile a investire fino a 10mila dollari in amplificatori, accessori e tutto il resto. È fondamentale, quindi, che le aziende facciano in modo che chi acquisti uno strumento continui a suonarlo il più a lungo possibile.

Per riuscirci Fender ha lanciato un servizio chiamato Fender Play: lezioni online per tutti a 10$ al mese. L’effetto è stato un aumento delle vendite del 14%. Riuscire a invertire il tasso di abbandono, spiega Mooney, «significherebbe raddoppiare le dimensioni dell’industria. Sarebbe epocale».

Foto Rob Watkins / Alamy / IPA

Juszkiewicz, invece, sostiene di poter guadagnare con una strategia opposta, basata sullo sfruttamento della nostalgia. Gibson offre numerose chitarre replica di quelle imbracciate da Jimi Hendrix, Slash e Jimmy Page. Ha sviluppato un processo innovativo per accelerare l’invecchiamento del legno, così che i suoi strumenti – e il loro suono – abbiano da subito un fascino particolare. Alcune di queste chitarre sono acquistate per cifre vicine ai 500mila dollari. «Le chitarre Gibson hanno grande valore nel mercato vintage», spiega il CEO, «e i nostri clienti più anziani ora possono permettersi di acquistare il top di gamma, quelle Les Paul che tanto desideravano da giovani».

Per quanto riguarda le classifiche e i festival, invece, non bisogna ignorare i nuovi astri nascenti del settore. St. Vincent, Japanese Breakfast, Haim, sono tutte al lavoro per convincere una generazione di ragazze a imbracciare la sei corde. Per non parlare del recente boom nel mondo della musica classica. Sharon Isbin, una chitarrista classica (premiata con un Grammy) della prestigiosa Juilliard School di New York, racconta di uno strumento che si fa sempre più presente nelle orchestre. «La chitarra elettrica ha beneficiato del suo status nella cultura pop. È qualcosa di familiare, di fico», dice. «Può attraversare molti confini, ed è in grado di attrarre nuovi ascoltatori. Ci sono moltissimi modi diversi per far incontrare il suo mondo con quello della classica».

Tutto questo, comunque, non significa che non ci siano sfide difficili da affrontare. L’interesse dei consumatori c’è, ma sarà necessario duro lavoro per trasformarlo in vendite. «La sfida è migliorare il prodotto, e offrire sempre qualcosa di nuovo», dice Juszkiewicz. E, soprattutto, c’è da considerare la cultura dei giovani chitarristi millennial, completamente diversa dal passato. «Pensano in maniera unica, e non sono tradizionalisti. Viviamo una dicotomia: da un lato dobbiamo soddisfare chi è con noi da decenni, dall’altro affrontare le necessità delle nuove generazioni».

Fender, comunque, non è mai stata così in forma, e Gibson vende più di 170mila chitarre in tutto il mondo. Non è male come inizio.

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