Chissà perché, prima o poi la passione delle grandi rock star per l’arte figurativa viene fuori: da Bob Dylan a Paul McCartney, fino al nostro Battiato, a un certo punto i musicisti diventano pittori e anche se si vede che non è esattamente il loro mestiere, tirano sempre fuori qualcosa che vale la pena osservare con attenzione. Certo, anche Alessandra Mussolini ha mollato la carriera (?) e si è messa a dipingere, ma questa è un’altra storia e oggi non ci va di raccontarla. Torniamo al mondo della musica che abbraccia quello della pittura, della fotografia e della scultura: quando proprio si rendono conto di non saper tenere il pennello o lo scalpello in mano, molto spesso i cantanti si danno al collezionismo. Elton John possiede una delle più grandi collezioni di fotografie del mondo, Madonna tra Frida Kahlo e Picasso ha messo su un patrimonio artistico da centinaia di milioni, e sempre per dare una sbirciata in casa nostra anche De Gregori ha pezzi da urlo e Lucio Dalla era un sofisticato compratore.
Prendete queste due categorie, mettetele insieme, e avrete il rocker che più di ogni altro ha interpretato il legame tra musica e arte: David Bowie. Ormai sanno quasi tutti che Bowie dipingeva fin dagli anni ’70, quadri che ricordano a volte le opere di Schnabel e altre quelle di Dubuffet. Evidentemente non era l’esercizio di stile che gli interessava, e infatti i suoi lavori sono istintivi e potenti. Alcuni di questi si possono ammirare nella bella mostra David Bowie Is, organizzata dal Victoria and Albert Museum e visitabile fino a novembre al MamBo di Bologna. Meno noto invece è il suo impulso da collezionista, quello che gli fece dire al New York Times in un’intervista del 1998 “l’arte è l’unica cosa verso la quale io abbia mai nutrito il senso del possesso”. Si sa, i collezionisti sono maniaci, nella loro mente scatta qualcosa che ha a che fare più con l’ambito psicologico che con l’investimento economico, e Bowie negli anni ha saputo interpretare alla grande il ruolo.
Per questo Sotheby’s ha deciso di creare un evento che a novembre farà impazzire i collezionisti d’arte e andare in brodo di giuggiole i fan del Duca Bianco (quelli coi soldi, almeno): 3 serate/show durante le quali andranno all’asta oltre 400 pezzi appartenuti all’icona della musica scomparsa a gennaio. Aveva confessato di possedere anche un Tintoretto e un Rubens, ma il martelletto batterà per vendere i pezzi che davvero Bowie sentiva come estensione di sé: l’espressionista astratto Peter Lanyon o il precursore della pittura britannica contemporanea Graham Sutherland, la discussissima coppia Gilbert e George o “l’artista di guerra” Peter Howson. E ancora la super star Damien Hirst, cui Bowie diceva di pensare come incarnazione del concetto stesso di arte contemporanea, o i dinamici corpi scolpiti da Henry Moore, scomparso nell’86. C’è spazio anche per l’Italia, soprattutto pezzi di design di Ettore Sottsass o Achille Castiglioni.
La vita di Bowie spesso si è incrociata con il mondo dell’arte, e non solo per le tante copertine dei dischi: alla fine degli anni ’90 ideò addirittura una beffa planetaria insieme a Jeff Koons, inventando l’esistenza di un diario dell’artista Nat Tate, morto suicida a 32 anni. La verità è che non esisteva nessun Nat Tate, e dopo avere mandato in visibilio i critici, confessò che era solamente una trovata per promuovere la sua neonata casa editrice. E poi c’è il cinema. È memorabile la scena di lui che passeggia per le scale di Escher in Labyrinth di Jim Henson, o la sua interpretazione nel film di Julian Schnabel sulla vita di Jean-Michel Basquiat, nel quale interpreta il suo vecchio amico Andy Warhol.
Ed è proprio di Basquiat il lotto più prezioso che andrà in asta, il pezzo Air Power stimato 3,5 milioni di sterline. Prima della grande vendita del 10 e 11 novembre la collezione farà un piccolo tour espositivo mondiale: attualmente è a Londra (fino al 9 agosto nelle gallerie di Sotheby’s), poi volerà a New York, Los Angeles e Hong Kong. Tra qualche giorno sul sito della casa d’aste sarà prenotabile il catalogo e se non potremo permetterci nulla, almeno guarderemo dal buco della serratura di una delle vite più sconvolgenti della storia contemporanea.