In due parole: Bullo come tanti, bravo come pochi
Entrare nella camera di qualcuno che non è in casa per sbirciare il suo diario segreto è una cosa che si fa senza fare rumore. Ecco perché il pubblico raggruppato davanti al palco del Carroponte mantiene un silenzio quasi religioso appena Mark Kozelek inizia a cantare: perché ascoltare le sue canzoni è come avere il suo privatissimo diario spalancato davanti agli occhi. Poi il suo atteggiamento nei frangenti in cui non si esibisce non fa che rafforzare quest’immagine: dissimula come uno che sta aprendo il suo cuore per lasciare che escano le parti più intime e nere forse più per necessità che per libera scelta, ironizza su tutto in modo burbero e decisamente sboccato.
Sun Kil Moon non è certo un campione di gentilezza: ha addirittura composto War on Drugs: Suck My Cock (dal significato piuttosto esplicito) dedicata appunto ai colleghi The War On Drugs, colpevoli di aver suonato in contemporanea a lui all’Hopscotch Music Festival disturbando il suo live con “certi merdosi riff di chitarra da pubblicità per una birra”.
L’ultimo album di Sun Kil Moon:
Ma ai poeti non si chiede di essere simpatici, a noi va benissimo così com’è. E a giudicare dal coinvolgimento con il quale cantano i suoi testi da pugnalate in pancia la pensano così anche le tantissime persone che ci sono davanti al palco: quando attacca con Carissa poi, «Questa è dedicata a mia cugina di secondo grado, ci ha lasciati da un po’», moltissimi si commuovono.
Accompagnato da Neil Halstead (Slowdive) e Steve Shelly (Sonic Youth), il live scivola via veloce tra canzoni dei primi lavori solisti e brani degli acclamatissimi Benji e Universal Themes, forte di una dinamica che non potrebbe accompagnare meglio il cantato emotivo e struggente di Mark.
Dopo I Watched The Film The Song Remains The Same e una brevissima pausa arrivano i bis I Can’t Live Without My Mother’s Love e This Is My First Day And I’m Indian And I Work At A Gas Station, ma non prima di aver chiesto a qualcuno in backstage con l’aria di chi conosce bene i propri difetti e ha imparato a riderci su: «Hey, sono stanco, tu che è tutta la sera che non fai un cazzo, mi cerchi una sedia?». Subito un roadie arriva con una cassa rettangolare per gli strumenti: «Ah, ma questa ha le ruote, come cazzo ci salgo?» -e con una sigaretta in bocca «Ecco due cose che non faccio mai: fumare e salire su delle cazzo di scatole con delle cazzo di ruote sotto!».
E dopo due bis struggenti: «Grazie a tutti. Vi amo e vi rispetto. Grazie davvero». Dice il vero Mark Kozelek, scomparso per un attimo il bullo dietro il quale spesso si nasconde. Sul viso il sorriso di uno che al di là di ironie, parolacce e dissimulazioni, è felice di essersi appena messo a nudo, e di esserci riuscito in modo magistrale.