Incontriamo la pioniera dell’elettronica, fresca reduce del Sònar nel bosco-backstage del festival Terraforma, alle porte di Milano. «Al Sònar», racconta, «sono vestiti meglio: hanno orologi chic, occhiali di marca; qui l’atmosfera è meno fashion, un ritorno alla natura, mi ricorda la Love Generation».
Magari con meno droghe: «Non so. Noi non bevevamo quasi, ma fumavamo un sacco di erba e ci sballavamo di Lsd». E lo spirito dei figli dei fiori torna anche nel nuovo live in compagnia di un amore di gioventù: l’analogicissimo – «fallibile e rischioso, quindi magico» – Buchla, un synth modulare che prende il nome dal suo inventore e mentore di Suzanne, Don Buchla.
Parliamo del fatto che questa nuova laptop generation raramente studi musica, a differenza della Dott.ssa Ciani, laureata in composizione a Berkeley: «Credo sia importante studiare le connessioni tra musica tradizionale ed elettronica: c’è la questione del gusto e della sensibilità, ma se vuoi comunicare devi anche avere qualcosa da dire».
E precisa: «Non basta, come fanno molti dj, alzare il volume: ho fatto 15 album sia composti che improvvisati. Ora improvviso, la mia sfida è mettere alla prova la mia creatività». Dal momento che Don Buchla è morto da poco, le chiedo se c’è uno strumento analogico che immagina possa sostituirlo: «Ho un’idea pazza: ho iniziato a lavorare con un ingegnere della Moog per creare qualcosa che possa tentare di rimpiazzarlo. Non sarà facile!».
Suzanne Ciani ha tanti progetti, un album da registrare scritto cinque anni fa, e forse delle collaborazioni con artisti più giovani. Non sembra intenzionata ad appendere il synth al chiodo, anzi è pronta a «sperimentare nuovi percorsi musicali». Alla faccia dei millennial.