Anche nel pop esiste un modo per recuperare il passato rimanendo fresh, che poi è la cifra stilistica fondamentale del genere. Lo hanno trovato quattro ragazzi (guarda caso) di Manchester e si chiama The 1975. Pensavamo che la capacità di trasformare le influenze in modo creativo fosse ormai prerogativa della black music e invece no, lo fanno anche Matthew Healy, Adam Hann, Ross Mad Donald e George Daniels pescando nei sogni elettrici degli anni ’80. E incantano il pubblico del Fabrique a Milano (prima di due date sold out, la seconda oggi all’Estragon di Bologna) con un concerto essenziale e un immaginario costruito con precisione, come i quadrati al neon che li illuminano dall’alto sul palco.
Prima ragione per cui i The 1975 dal vivo sono bravi come sul disco, forse di più: hanno imparato a suonare prima di imparare ad esibirsi. Sembra poco, ma in questi tempi di palchi presi d’assalto da gente uscita dai talent e non dalle sale prove non lo è.
Seconda ragione: sono una band per adolescenti, sì, ma nel senso che sono capaci di dare forma allo spirito romantico della gioventù scrivendo colonne sonore di dolci sogni adolescenziali, che forse non servono a niente ma sono importanti per far crescere una generazione attenta e sensibile. Se sul disco sono tenuti in equilibrio dal produttore Mike Crossey, dal vivo riescono a coinvolgere, scaldando gli occhi di fan che non vogliono solo fare selfie ma anche cantare dietro a quei loro ritornelli che richiedono sempre attenzione.
Terza ragione: fanno pezzi intelligenti, con melodie alte, basi solide basso-batteria-sintetizzatore, sanno con chi stanno parlando e comunicano bene, come hanno dimostrato con il titolo del loro secondo album: “Mi piaci quando dormi, sei così bella e così inconsapevole”. Bellissimo, sembra il messaggio in chat di uno studente innamorato. E poi c’è The Sound, quel suono che li ha lanciati al successo e che pesca in modo eclettico nella musica come fanno oggi i giovani consumatori nel mare dello streaming e tira fuori una reinterpretazione moderna del pop-funk di Nile Rodgers, del David Bowie di Let’s Dance (il singolo Love Me), delle produzioni di John “Jelliybean Benitez” per Madonna (UGH! e She’s American sembrano una versione 2016 di Lucky Star) e tante altre cose, Human League, Talkin Heads, persino Prince ma anche i Sigur Rós. Sempre un passo oltre l’influenza, però, immaginando un futuro. Perché più che canzoni i The 1975 fanno atmosfere dream pop. Il loro è un mondo romantico, un po’ decadente e glam, che piacerebbe a gente come Marc Bolan. E piace anche a noi.