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The Darkness e Black Label Society, il lato più oscuro di Pistoia Blues

Justin Hawkins & co. vogliono che tu ti diverta per davvero. Ma che male c’è se nel mentre si divertono pure loro? In apertura la band di Zakk Wylde, l'ex chitarrista di Ozzy Osbourne
The Darkness sul palco di Pistoia Blues il 18 luglio scorso

The Darkness sul palco di Pistoia Blues il 18 luglio scorso

Come lamentarsi della bellissima e affascinante Piazza Duomo a Pistoia, sede della 36ma edizione di Pistoia Blues e capace di rendere confortevole anche una torrida giornata di metal e rock’n’roll, in un’estate in cui alcuni appuntamenti eccellenti hanno ricevuto critiche pesanti per la scelta della location a volte piuttosto improbabili?

Lo confesso, la situazione era talmente piacevole che, non mi avessero atteso i Black Label Society e i Darkness, avrei rischiato, novello Annibale, di perdermi in ozi fatti, con trionfi assoluti di vezzeggiativi e superlativi assoluti, di birrette e bruschette servite nei tantissimi e carinissimi baretti che la circondano. Ma il dovere, e che dovere, chiamava e quindi Last of Our Kind sono dovuto auto imporre il limite di sole due medie per poi raggiungere in tempo gli altri 4.500 rocker che si sono fatti trovare puntuali sotto il palco quando Zakk Wylde e i suoi Black Label Society hanno dato inizio alle ostilità.

Pur amando lo stile di quel berserker metal in cui si è trasformato, devo dire che il tempo non è stato clemente con Zakk. I problemi di circolazione e qualche chilo di troppo hanno trasformato quello che un tempo era un concentrato di furia ed energia in una specie di golem che si limita ostinatamente a sparate in sestine e richiami costanti al suo grande cuore metal/biker/rocker e così via. Wylde, a soli 48 anni, è troppo giovane per pensare di tirare i remi in barca in questo modo, limitandosi ad inneggiare ai vari capitoli della Black Label Society in giro per il mondo per incontrare il favore di un pubblico che però apprezzato alla grande la sua esibizione nonostante un sound piuttosto impastato, soprattutto per quanto riguarda la voce, accogliendo ogni pezzo con entusiasmo.

Il momento più toccante della serata è stato il tributo a Dimebag Darrell con In This River ma avrei preferito vedere meno tributi e più attributi, visto che, secondo me, sotto quella barba e quella panza ci sono eccome. Discorso opposto per i Darkness che, trascinati da un Justin Hawkins in forma olimpica, hanno letteralmente conquistato qualunque cuore in piazza con una performance di incredibile intensità sia dal punto di vista musicale che dello spettacolo tout court. Nel loro show c’è moltissimo mestiere, a partire dalla scaletta che, per buona metà presa da Permission To Land, li fa andare quasi sempre sul velluto permettendogli di giocarsi una chicca come la cover di Street Spirit (Fade Out) dei Radiohead e ben quattro pezzi dall’ultimo Last of Our Kind.

Alla scelta dei brani aggiungete una sezione ritmica che, con l’arrivo dietro la batteria di Rufus Taylor, figlio d’arte di Roger dei Queen, ha guadagnato in potenza e solidità e il tappeto di note che lo stoico Dan Hawkins tesse sotto i piedi di Justin per permettendogli di spaziare, apparentemente senza sforzo alcuno, con una delle voci più emozionanti del panorama musicale mondiale, e avrete servito uno dei migliori concerti rock che possiate vedere al giorno d’oggi.

Il bello dei Darkness sta tutto lì, sono una band, come dice Justin Hawkins, che vuole che tu ti diverta per davvero e che male c’è se nel mentre si divertono pure loro? Lo scioglimento del 2006 gli ha fatto bene, sono tornati a dare importanza a quello che conta davvero, a quello che li ha resi gli ultimi beniamini di un pubblico a cui piace ancora andare ad un concerto di rock’n’roll della madonna e non parlare d’altro per almeno due ore da quando anche l’ultimo amplificatore è stato scaricato dal palco o come, nel mio caso, a parlarne ancora a più di due giorni da quando sono tornato a casa.

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