Fare il cosiddetto “grande passo” ed entrare nel mondo delle major non è facile, soprattutto se significa dare seguito a un disco come Lost in the Dream, instant-classic che ha portato i War on Drugs sulla bocca di tutti.
Il passaggio nella scuderia di Warner rischiava di mandare nel panico i puristi dell’indie, ma la band di Granduciel ha messo subito le cose in chiaro: la prima apparizione dei War on Drugs 2.0 è stata per il Record Store Day, quando hanno pubblicato un singolo (Thinking of a Place) di 11 minuti, il contrario di quello che ci si aspetterebbe da chi è entrato nella stanza dei bottoni.
«Non so nemmeno se chiamarlo “singolo”», dice Adam Granduciel da una soleggiata Philadelphia. «Non c’era nessun piano promo, non possiamo fare come gli Stones e proporre in radio un “vero” singolo di 11 minuti. Abbiamo solo condiviso un nuovo pezzo». Dai piani alti nessuno si è scomposto, «hanno lasciato che scrivessimo il seguito di Lost in the Dream a modo nostro».
E per “uscire dal sogno” i War on Drugs si sono ripresi la realtà, scrivendo un’epica polverosa che guarda in faccia Dylan e i colleghi della tradizione. «Ma niente “grande narrazione americana”», precisa. «A Deeper Understanding parla del cambiamento».
Scritto e registrato nell’anno in cui l’America si è scoperta capace di votare uno come Trump, il nuovo LP della band si è dovuto confrontare (come tutti) con il ritorno di fiamma verso la politica.
«Sì, mi sono sentito obbligato», ammette Granduciel. «Ma solo a raccontarmi onestamente. Oggi la musica della gente è il rap, non possiamo fare come negli anni ’60. Anche Kendrick Lamar racconta le sue esperienze e la sua cultura, non ha bisogno di dire “Fuck Trump” per essere attuale».