Rolling Stone Italia

Tornano gli Inspiral Carpets: «Noi, Manchester, gli anni 90 e Noel Gallagher roadie »

A vent'anni da "Devil Hopping", la band inglese pubblica un nuovo omonimo album e suona in Italia, per un'unica data, giovedì 25 settembre a Roma. La nostra intervista al tastierista Clint Boon
Gli Inspiral Carpets, foto profilo facebook ufficiale

Gli Inspiral Carpets, foto profilo facebook ufficiale

Agli inizi degli anni 90 gli Inspiral Carpets hanno segnato un’intera generazione di indie rocker con singoli come This Is How It Feels?, Generations e Saturn 5. Poi, nel 1994, lo scioglimento; nel 2003 una reunion carica di nostalgia con greatest hits annesso e concerti basati sul vecchio repertorio. E ora, complice l’abbandono di Tom Hingley e il rientro in line-up del primo cantante Stephen Holt, il ritorno vero e proprio.

Già, perché a 20 anni da Devil Hopping gli Inspiral Carpets stanno per pubblicare un disco che porta il loro nome, quasi volessero urlare al mondo: rieccoci, siamo sempre noi. E in effetti l’album in uscita a fine mese, che presenteranno al Circolo degli Artisti di Roma il 25 settembre (unica data italiana), riprende quel sound che, con band quali Stone Roses e Charlatans, li aveva trasformati in una delle punte di diamante della scena di Manchester (o “Madchester”).

Un sound psichedelico, incentrato sull’organo Farfisa di Clint Boon. Che raggiunto da noi al telefono confessa: «Avevamo tentato altre volte, in passato, di buttar giù dei nuovi pezzi per un disco, ma non essendo contenti del risultato avevamo lasciato perdere. Fino a quando, tre anni fa, il ritorno di Steven ci ha trasmesso una rinnovata energia, ci ha messo in una nuova prospettiva e ci ha spinti a riprovare. Fino a quel momento non eravamo mai stati abbastanza ispirati, ora lo siamo».

Abbiamo girato il mondo, visto un sacco di posti, ce la siamo spassata e abbiamo fatto parecchi soldi, andava alla grande

Come avete lavorato alle nuove canzoni?
Ci abbiamo messo mano tutti. Cosa inusuale per noi, oltre che salutare. L’album rappresenta molto bene il nostro stile, quindi credo possa essere un buon punto di partenza per chi non ci conosce, per chi volesse avvicinarsi a noi e poi, magari, passare ai vecchi lavori. Ci sono anche affinità con alcuni gruppi di adesso, dai Kasabian ai Vaccines agli Hives: è un disco che ci rispecchia com’eravamo, ma contemporaneo.

Che atmosfera si è creata in studio?
In studio, in sala prove o altrove, ovunque siamo, ci divertiamo sempre a scherzare, a prenderci in giro. Siamo un gruppo di gentlemen inglesi, quasi tutti papà, che si rilassano tra loro, lontani da mogli e figli, hai presente?

Ma era più facile stare in una band negli anni 90 o adesso?
Per noi di sicuro adesso. Abbiamo altri lavori – io sono speaker in una radio e faccio il dj in vari club -, il che ci permette di vivere ciò che ruota attorno agli Inspiral Carpets in tranquillità, come un hobby. Insomma, non dobbiamo preoccuparci di vendere dischi. Se parliamo, però, delle giovani band il discorso cambia: questo non è un bel periodo per provare a vivere di musica, è facile pubblicare pezzi perché tutti hanno il computer, c’è Internet e così via, ma mancano i soldi, i dischi non si vendono più, le etichette non finanziano progetti a lungo termine, così tutto si trasforma in un’impresa. Del resto già a metà degli anni 90 si poteva intuire che sarebbe andata a finire così.

Che cosa intendi dire?
Nel 1994 il mercato stava cominciando a cambiare, è stato allora che anche noi abbiamo iniziato a vendere meno dischi, e oltretutto il costo della vita era aumentato, eravamo stressati, non è un caso che ci siamo sciolti. Però fino a quel momento eravamo stati fortunati. Ah, che periodo incredibile! Abbiamo girato il mondo, visto un sacco di posti, ce la siamo spassata e abbiamo fatto parecchi soldi, andava alla grande.

Il ricordo cui siete più affezionati?
Mmm… Allora, provo a sintetizzare. Andiamo in Argentina per uno show televisivo e ad accoglierci nei camerini troviamo un mucchio di costumi che il canale che ci stava ospitando utilizzava per un programma per bambini. La protagonista era una strega con dei poteri magici e lì in camerino c’era la sua uniforme. Graham (Lambert, il chitarrista; ndr) la prova per scherzo, dopodiché facciamo lo show, saliamo sul tourbus, arriviamo in aeroporto e insomma, per fartela breve, quando scendiamo Greg è vestito da strega! L’aveva rubato, si era messo su quel costume di nascosto sul tourbus, puoi immaginare come lo guardava la gente…

E Noel Gallagher versione roadie com’era?
Lui è stato in giro con noi per cinque anni, lo portavamo ovunque, ha vissuto con noi il nostro periodo di maggiore successo. Aveva già una personalità forte, era già un songwriter, scriveva canzoni tutto il tempo, ci aspettavamo che un giorno avrebbe formato una band, anche se non immaginavamo sarebbe diventato ciò che che è diventato. È una bella storia.

Secondo te come mai a Manchester si è creata una scena musicale così vivace?
Inizialmente per questioni geografiche: alla fine dell’Ottocento, grazie allo Ship Canal, Manchester divenne una città portuale, c’era gente da tutto il mondo che arrivava qui e questo ha creato un mix di culture che ha sicuramente influito. In tempi più recenti, dalla fine degli anni 80, tutti volevano suonare all’Hacienda (il club di riferimento di “Madchester” ndr). Ma c’entra anche il clima: spesso piove, fa freddo e ti ritrovi a letto ad ascoltare dischi, quindi cresci con la musica dentro, o almeno è stato così per la mia generazione.

E in questo momento a Manchester c’è qualche gruppo che ti piace?
Tapestry, Blossoms e Slow Readers Club. Consiglio anche i Catfish and the Bottlemen, sono del North Wales, non di Manchester, ma sono forti.

Iscriviti