Jonny Greenwood compie oggi 47 anni. Un bel traguardo per la schiva chitarra dei Radiohead, che nonostante un profilo basso negli anni non ha mai rinunciato a distinguersi con dichiarazioni belle decise.
Ne abbiamo raccolte tre, su argomenti molto caldi, proprio per capire meglio il personaggio. Tutte e tre le citazioni sono tratte dall’intervista che ha fatto l’anno scorso Andy Greene per Rolling Stone USA.
Odia gli assoli di chitarra
«Quando andavamo a scuola, odiavamo e guardavamo con diffidenza qualsiasi cosa avesse successo sul larga scala. Associavamo questa cosa alle band che facevano gli assoli e con le acconciature pazze. È già una professione per pavoneggiarsi e auto-compiacersi. Ho sempre odiato gli assoli di chitarra. Non c’è niente di peggio di sentire qualcuno che fa accuratamente su e giù scale sulla chitarra. Puoi quasi sentirli pensare a quale nuota suonare dopo, e poi la nota magicamente arriva. È più interessante scrivere qualcosa che non si trattenga più a lungo del dovuto.»
Nemmeno le rock band gli vanno a genio
«Persino nei primi tempi, a ognuno di noi sembrava di stare in una band. Già all’ora le band erano qualcosa di datato. Era vero all’epoca, è sempre più vero adesso. Tendo a cambiare idea, e ogni tanto penso che è importante e e che le band stanno facendo buone cose. Altre volte mi sembrano persone che stanno copiando la generazione dei loro nonni. Ci sono nonni che erano in band punk e ora hanno nipoti che suonano in band punk a loro volta. Magari è un’ottima cosa. Ma ho anche quest’idea vecchia scuola secondo cui certe cose andrebbero fatte senza approvazione dei parenti. Questo significa ancora molto per me. So che potrà sembrare banale, ma la musica dovrebbe risultare inascoltabile alla generazione precedente. Qualcuno dovrebbe dire “Non è musica questa”. Sta succedendo fra le persone più vecchie e certi tipi di rap ed elettronica estrema. È un bene. Allo stesso tempo, non c’entra nulla con la qualità della musica. Su questo cambio idea davvero spesso.»
I Radiohead nella Rock and Roll Hall Of Fame
«Non me ne importa nulla. Magari è una faccenda culturale che non riesco proprio a capire io, eh. Voglio dire, visto dall’esterno sembra quasi… È già una professione che fomenta l’ego così. E ogni cosa che lo alimenta mi fa sentire meno a mio agio.»