Nel backstage dell’Altromondo Studios di Rimini, tempio storico della musica dance ed elettronica europea, con molti shot in corpo: il contesto più appropriato per capire veramente chi sia Francesco Barletta in arte Trevize, che si è guadagnato il titolo di Jäger Music Meister 2024 con il brano Still Lost, in collaborazione con Ginevra Ramos, diciottenne originaria di Ibiza, anche lei partecipante alla settima edizione dello JägerMusic Lab. Il progetto di Trevize ha saputo incarnare lo spirito di questa edizione, caratterizzata dal tema Open Your Sound: un invito a superare i propri confini sonori e abbracciare nuove contaminazioni.
Trevize arriva da un background sorprendentemente variegato: cresciuto come chitarrista punk e metal, si è poi avvicinato alla musica elettronica e al mondo della fonia, studiando alla SAE di Milano e alla Nut Academy di Napoli. Ma è stato il ritorno in Puglia, la terra che lo ha cresciuto, a segnare profondamente il suo approccio musicale. Qui ha iniziato a collaborare con musicisti tradizionali, scoprendo la potenza ancestrale di strumenti come tamburi e mandolini. Questi suoni, reinterpretati con un linguaggio elettronico, sono diventati il cuore della sua musica che, con un approccio filologico figlio della world music, integra i suoni tradizionali del Sud Italia in contesti elettronici. La performance di Trevize allo JägerMusic Lab 2024 ha stupito per originalità e carica emotiva, oltre che per la confidenza con la quale Barletta si approccia ai sintetizzatori, mettendo le sue competenze a servizio di un messaggio complessivo che risulta immediatamente accessibile, per quanto complesso e stratificato: la musica elettronica e quella tradizionale sono due facce della stessa medaglia ancestrale, il segreto che da sempre lega gli esseri umani alla musicalità.
Trevize, raccontaci della tua esperienza allo JägerMusic Lab. Com’è stato partecipare a un contesto così stimolante per i produttori di musica elettronica?
È stata un’esperienza incredibile: utile, divertente e davvero professionale. Sono arrivato con un brano che stava in bilico da due anni, non trovavo mai il suo vestito giusto, continuavo a cambiarlo. Qui è successo qualcosa: non so se è stata fortuna o bravura, ma ha preso una forma e un senso che non avevo previsto. È stato un cambiamento inaspettato, ma sono felicissimo del risultato.
Il brano che hai presentato ha subito delle trasformazioni durante il laboratorio?
Sì, e direi anche radicali. All’inizio era pensato per essere un pezzo solo strumentale con un titolo in dialetto pugliese. Poi, su proposta di Alex della MAT Academy, ho collaborato con Ginevra Ramos, che ha aggiunto la sua voce. È stata una decisione presa al volo, ma ha cambiato tutto. Non pensavo che una voce “occidentale” potesse funzionare su una base così etnica, ma il suo contributo l’ha reso accessibile, quasi pop. È stato il perfetto esempio di Open Your Sound: aprirsi alle contaminazioni per creare qualcosa di unico (puoi ascoltare la preview del brano qui).
Qual è il tuo percorso musicale? Come sei arrivato a fare elettronica con influenze tradizionali?
Tutto è iniziato con i Blink-182! Sono nato nell’89, e alle medie, quando è uscito What’s My Age Again, io e i miei amici eravamo fissati. Ho convinto i miei a comprarmi una chitarra per imitarli. Poi, a 19 anni, mi sono trasferito a Milano per studiare e ho scoperto la scena clubbing, frequentando locali come il Rocket, dove mescolavano rock ed elettronica. Tornando in Puglia, ho conosciuto musicisti tradizionali e strumenti come tamburi e mandolini. Quei suoni sono diventati fondamentali per me.
Qual è stato il punto di svolta nel tuo modo di fare musica?
Credo sia stato il mio ritorno in Puglia. All’inizio odiavo pizzica e tarantella: da ragazzino ascoltavo punk e metal e quelle sonorità mi sembravano lontanissime. Ma lavorando come fonico per artisti tradizionali ho cambiato prospettiva. Vedere un maestro del tamburello suonare per un’ora e mezza e mantenere il pubblico incollato è stata una rivelazione. La loro precisione e il rispetto per lo strumento mi hanno mostrato quanto quella musica sia potente, simile alla techno per energia e trasporto.
Cosa ti affascina di più della tradizione musicale pugliese?
Il fatto che sia un linguaggio universale. La musica tradizionale è un rito, come quello che si vive in discoteca. Entrambi creano un legame collettivo, ti coinvolgono a livello fisico ed emotivo. Voglio portare l’elettronica nel mondo della world music, ma senza snaturare le tradizioni. Bisogna studiarle e rispettarle: sono un patrimonio culturale che non possiamo perdere.
Come riesci a unire la musica elettronica con quella tradizionale?
Per me hanno lo stesso obiettivo: far ballare. Anche se non so ballare la pizzica, mi muovo come se ci fosse una cassa dritta sotto. Quando uso strumenti come tamburelli, santur o cori tribali, non sono solo un abbellimento: li tratto come elementi centrali. Voglio far capire che questi suoni ancestrali possono essere attuali e parlare alle nuove generazioni.
Hai detto che se una traccia non ti fa ballare, non la fai. È davvero così importante?
Assolutamente sì! Se un pezzo non mi fa muovere, manca qualcosa. Anche la musica tradizionale ha questo scopo: coinvolgere. Penso alla ronda, dove le persone si mettono in cerchio e chi ha coraggio va al centro a ballare. È un rito collettivo, esattamente come accade in un club. Questo spirito è il cuore della mia musica.
C’è un messaggio che vuoi lasciare attraverso la tua musica?
Sì, voglio dare valore alle radici e dimostrare che non sono qualcosa di statico. La tradizione è un linguaggio vivo e può convivere con la tecnologia senza perdere la sua anima. Voglio trasmettere questo messaggio alle nuove generazioni, ma anche farle ballare. Se ci riesco, allora sento di aver fatto il mio dovere.
Hai un progetto o un sogno futuro che vorresti realizzare?
Mi piacerebbe creare una libreria di suoni di strumenti tradizionali per un disco di musica elettronica influenzata dalla world music. È un modo per conservare e reinterpretare queste sonorità. Inoltre, vorrei portare la mia “World Electro Music” su palchi internazionali, mostrando come le radici possano ispirare qualcosa di nuovo.
C’è un artista che consideri un punto di riferimento per il tuo lavoro?
Nicola Cruz è sicuramente una grande ispirazione. Riesce a combinare elementi di world music con l’elettronica in modo autentico, senza mai stravolgere le tradizioni da cui attinge. È un modello di equilibrio tra passato e futuro, qualcosa che anch’io voglio raggiungere con la mia musica.