Nel 2012, la star del web che risponde al nome di Gianni Morandi decise di cambiare un po’ le regole del gioco del Festival della Canzone Italiana. I partecipanti alla sezione Nuove Proposte infatti, salvo i due vincitori di Area Sanremo, erano tutti stati scelti dal pubblico, tramite votazioni sui social. Un tentativo di fare qualcosa di diverso e che portò sul palco dell’Ariston anche i romani STAG, rappresentati sul palco dal solo cantante 23enne Marco Guazzone. Una scelta consigliata dall’etichetta, «perché per i gruppi a Sanremo è più difficile». E forse, tutti i torti l’etichetta non li aveva, perché quell’anno per loro le cose vanno piuttosto bene. Il loro pezzo, Guasto, si piazza quarto e diventa un discreto successo radiofonico.
La band pubblica il primo disco, parte per un lungo tour e negli anni seguenti si divide tra concerti e colonne sonore per il cinema, da quella con Malika Ayane per Fratelli Unici a To The Wonders, colonna sonora del film Un Bacio di Ivan Cotroneo che gli è valsa la candidatura ai David Di Donatello 2017 come Miglior Brano Originale.
Ora gli STAG sono entrati nel roster di INRI (in compagnia di Levante, Bianco, Linea 77, per dirne alcuni), hanno pubblicato il nuovo singolo, Mirabilia, e stanno per tornare con un disco, Verso le meraviglie, in uscita il 10 marzo. Abbiamo incontrato Marco e Stefano per farci raccontare il nuovo progetto.
Sono passati 5 anni da L’Atlante dei Pensieri, il vostro primo disco. Cosa è successo da allora?
Marco: Dopo Sanremo siamo partiti per un tour che è durato un paio d’anni, abbiamo suonato tantissimo, in Italia e all’estero. Avremmo voluto pubblicare cose nuove prima, ma c’è stata qualche divergenza con la nostra vecchia etichetta. Volevano concentrarsi sul mio progetto solista, ma noi siamo una band a tutti gli effetti.
Però a Sanremo eri da solo.
Marco: Già, mi avevano consigliato di fare così perché i gruppi funzionano meno. E probabilmente avevano ragione. Però ho chiesto a Stefano di dirigere l’Orchestra.
Stupendo. Come ci si prepara per diventare Beppe Vessicchio?
Stefano: Sono diplomato al Conservatorio e per fortuna avevo già lavorato in un’orchestra. Poi ho preso qualche lezione per cercare di essere il più bravo possibile. Non nascondo che un po’ di amarezza per non aver suonato insieme c’è stata. Dopo Sanremo è stato difficile far capire alle persone che eravamo una band a tutti gli effetti e non solamente i musicisti di Marco.
Poi cos’è successo?
Marco: Abbiamo deciso di continuare da soli, autoproducendoci. Abbiamo fatto uscire dei singoli, abbiamo iniziato a lavorare a delle colonne sonore, ma all’inizio le risorse economiche per fare un nuovo disco non c’erano. In questo il cinema ci ha aiutato tantissimo. Possiamo dire che il nuovo disco l’abbiamo fatto proprio grazie al cinema. Sai, quello è ancora un ambito abbastanza protetto. Se una canzone piace a un regista, finisci nei film. Senza troppi giri.
Leggo dal comunicato stampa che il nuovo brano parla di «ricominciare partendo dalla riscoperta delle cose meravigliose dentro di noi». Per voi questo è un nuovo inizio o una continuazione?
Marco: Una continuazione, perché non ci siamo mai fermati, ma anche un nuovo inizio. In Italia, se non vai in TV o non passi in radio non esisti, per tutti ti sei fermato. Abbiamo fatto un sacco di cose in realtà. Ora però abbiamo un nuovo team, una nuova etichetta. Diciamo che è un po’ entrambe le cose.
Come definireste il disco nuovo?
Marco: Una colonna sonora pop, e non solo perché molti brani sono finiti in TV o al cinema. È davvero la soundtrack di quello che ci è capitato. Non è un mestiere facile, soprattutto se vuoi fare solo questo. Il disco racconta il nostro percorso.
I nuovi brani, soprattutto quelli in inglese, mi hanno ricordato molto le melodie di gruppi come One Republic, Coldplay. Cosa vi piace?
Marco: I nostri ascolti di sempre sono proprio i primi Coldplay, i Muse, i Radiohead. Pensa che dopo l’uscita di A Moon Shaped Pool abbiamo messo di nuovo mano ai mix perché ci sentivamo ispirati. Poi Nick Murphy, gli Alt-J. La loro scelta dei suoni è magnifica.
Avete firmato con INRI, una delle etichette indie più importanti in Italia. Che ne pensate della scena attuale?
Marco: È sicuramente un mondo che ci appartiene più di quello mainstream, anche se ci hanno sempre detto che siamo troppo pop per essere indie e troppo indie per essere pop. A livello indipendente, aver fatto Sanremo ti mette sotto una luce diversa. Non va mai bene niente! (ride) Il Festival, a differenza dei talent, ci ha dato la possibilità di portare un pezzo scritto e arrangiato da noi su un palco del genere. Se non è indipendente questo…
Stefano: Ci piace molto Diodato. Ma anche gli Stanley Rubik e i Toot, un gruppo romano che fa musica elettronica sperimentale. C’è un sacco di roba bella in giro.
So che ci avete riprovato con Sanremo. Quest’anno il meccanismo per accedervi era molto simile a un talent. Non si sta trasformando in qualcosa che non dovrebbe essere?
Marco: Assolutamente sì, con quel meccanismo dell’eliminazione. E la presenza di artisti conosciuti e provenienti da programmi televisivi fa in modo che si scartino cose interessanti. E ti giuro che non ci stiamo riferendo a noi, la nostra possibilità l’abbiamo avuta.
Ma per voi che esperienza è stata?
Marco: Molto positiva, senza dubbio.
Al punto da volerla rifare…
Stefano: Sì. È stata un’idea dell’etichetta, non pensavamo neanche fosse possibile riprovarci. Servono spazi del genere in televisione.
A proposito di TV, vi rivedremo nella serie Tutto può succedere…
Marco: Sì, è stato bellissimo quando ci hanno richiamato. Suoneremo un brano che c’è nel disco, interpretando noi stessi. Io poi avrò una sorta di discussione con il proprietario del locale.
Cose che capitano spesso…
Marco: Decisamente.
E Sanremo lo guarderete?
Marco: Lo vediamo per fare le votazioni!
Stefano: Ecco, magari non proprio tutte le serate…
Questa la cover del disco in uscita il 10 marzo: