Mentre faccio la strada Milano-Vigevano (eccezionale pendolarismo inverso di una vita passata nella provincia pavese con il sogno della city) un amico mi manda un link: la manina birichina che cambia i decreti legge è diventata un gadget culto a San Gregorio Armeno, la via dei presepi di Napoli. È la consacrazione definitiva, il meme tridimensionale, che incastona nel tempo e fra i muschi l’infelice uscita di un vice premier che si fa cambiare le leggi sotto il naso.
È l’ultima versione dei “loro”, dei “poteri forti”, dell’altro che ci ostacola in qualche modo, senza farsi vedere, senza avere poi un vero volto. Ma che è lì a fare da bersaglio, povera manina, per la rabbia social, per tutti i commenti non richiesti degli esperti politici che non sapevate abitassero sul vostro pianerottolo. È l’odio quotidiano, che ha sovraccaricato una nazione.
Questa cosa, Tommaso, la sa. L’ha detta in modo chiaro, più volte. Ci ha ricoperto un disco, di concetti semplici, paraculi perché elementari ed efficaci. E, guarda un po’, necessari. Perché se non canta di politica, se non canta di sociale, quella che Paradiso racconta – e chissà, forse vive – è una quotidianità sincera con un pensiero lineare, che vive e respira una logica facile. Senza sabotatori in incognito, senza complotti. Senza manine. Solo con la voglia di correre a duemila come un coglione. Di stringere forte il telefono, con la bottiglia d’acqua a fianco.
È un live colorato – più vicino a Chris Martin che a Liam Gallagher, con le dovute proporzioni, forse anche a causa delle chitarre colorate e dei momenti di piano solo – pensato per stare sereni, per dare della speranza sincera, della felicità facile, puttana quanto vuoi. E, sinceramente, chissenefrega del resto. Di quello che pensano gli altri.
Chissenefrega se Lover sta a una lettera di distanza da Loser (come viene sparato sui maxi schermi), se passi un po’ per quello sfigato se ti alzi i Ray-Ban per far vedere che hai gli occhi lucidi. Se dici l’alfabeto per dimostrare di star bevendo solo della tonica, senza gin. Se sei un po’ impacciato – non Tommaso, ormai popstar navigata, che sta benissimo anche su un palco maxi con passerella come questo -, se ti vengono solo le parole più facili di tutte. Berlino – panino.
La leggerezza che pervade lo show, voluta e non così semplice da ottenere, si spegne nella chiusura, l’importante Dr. House. Un pezzo che a Paradiso costa tanto, si parla di un padre che non c’è mai stato e della sua ricerca. Allarghiamo, della ricerca di una guida. Che possa insegnare a tutti come fare il bene e il male (“Perché gli uomini hanno bisogno di te: come ragioni, come ti muovi, come tratti la vita e i pazienti, come ti droghi”), senza differenze.
E se per lui le certezze, gli abbracci attraverso lo schermo sono i film di Fantozzi, Verdone e Leone, noi siamo liberi di scegliere i nostri (io mi prendo il tiramisù di mia mamma e Toy Story, che ho guardato un minuto dopo essere tornato a casa). Questo è un concerto che vi farà stare bene, davvero.